Mio padre doveva recarsi a Milano per discutere una causa, e mi propose di accompagnarlo. Avevo vent’anni, non avevo mai fatto un viaggio, e con vero entusiasmo accettai l’offerta. Andare a Milano dal Veneto in quell’epoca era un grande viaggio, s’impegnava una giornata in treno! Era combinato ch’io andassi ospite da una cara amica nostra, per lasciare mio padre libero per i suoi affari. Mi ricordo che in treno, per combinazione, viaggiava anche il mio amico caro, (che poi divenne mio marito) e preso posto in uno scompartimento vicino al nostro, dai finestrini vicini ci si parlava di amore e di progetti per l’avvenire. Mio padre stava leggendo il suo incartamento e non si accorgeva della nostra conversazione. In una città prossima a Milano egli discese ed io mi misi a sedere.
Arrivammo a Milano di sera e alla stazione trovai l’amica, che si chiamava Ramperti e mi portò alla sua casa, in Via Solferino.
La mia sorpresa fu grande poiché entrando mi trovai di fronte auna schiera di giovanotti, tutti giornalisti amici della mia amica. Io, una semplice provincialina, non mi confusi, stesi la mano a tutti, e ringraziai per la buona accoglienza.
Ho in mente ancora qualche nome, Cettuzzi, Pollastri, Ducati e gli altri non ricordo. Gentilmente si offersero di farmi visitare Milano nelle ore in cui la mia amica fosse libera, poiché era insegnante di piano, e in cui essi pure fossero liberi, poiché tutti avevano i loro impegni per i giornali. Il giorno dopo, nel pomeriggio, vennero a prendermi e mi portarono sul Duomo, sulla magnifica terrazza, da dove si ammira tutta Milano.
Cominciammo a diventare amici, e giovani tutti e allegri, si fecero grandi risate. Ogni giorno alla stessa ora, venivano a prendermi e giravamo per Milano poi, alla sera, si andava a cena in un alberghetto nella periferia, e dopo in un caffè, dove ci si raccontava barzellette e cose passate, e si rideva, si rideva tutti spensierati.
Io, non ero bella, ma tutti mi dicevano ch’ero molto carina, e soprattutto piena di spirito. Ricordo, come fosse ora, che avevo un vestitino semplice, ma originale, di una stoffa blu con disegnate tante carte da giuoco, in rosso.
I nostri amici giornalisti mi fecero poi vedere il Cellulare, e provai una dolorosa impressione. Ricordo quanti portali furono aperti, prima di entrare definitivamente a vedere quelle creature che vi sono rinchiuse. Il Direttore ci accompagnò e per mezzo dello spioncino ci mostrò i più importanti carcerati. C’era una ragazza bella, giovane, sdraiata sul letto in atto pensoso, era una infanticida, poi in altra cella, una donna non più giovane che da tanti anni era rinchiusa, la quale aveva ucciso il marito, e sembrava scema dall’espressione del viso.
E via, via, tanti uomini dal viso truce, gli occhi con espressione feroce, con l’impronta ancora del delitto commesso!
Dico il vero che non mi fu lieto ritrovarmi in quell’ambiente. Il giorno dopo dissi ai miei amici: «Per carità, non fatemi vedere cose che mi rattristano», e così mi portarono a Monza, e sul Iago di Como.
Ma quei birboni di giornalisti vollero ancora farmi vedere un ambiente di sofferenza. Visitammo l’Ospizio dei Rachitici! Che orrore, che strazio! Bambini con teste ingrossate, con gambe rattrappite, con gobbe, immobili nel loro lettino. Io non potei rattenere le lagrime, e la Suora che ci accompagnava mi pregò di mostrarmi serena davanti a questi poveri esseri sfortunati.
Visitai la casa di Alessandro Manzoni, e guardando il suo scrittoio pensai che là aveva scritto il suo libro immortale.
Mi accompagnarono a conoscere Succi, il digiunatore, che in quell’epoca fece tanto chiasso a Milano. Egli fu gentilissimo, e rivolgendosi alla mia amica ch’era molto bella le disse: «Digiunerei tutta la vita, s’ella mi fosse sempre vicina!».
Era annunciata l’opera «Traviata» alla Scala, e i gentili amici pensarono di portarmi alla première. Che spettacolo meraviglioso, belle signore, bellissimi uomini, cantanti bravissimi, io vivevo come in un sogno. Tornai poche sere dopo in un altro teatro a sentire «Come le foglie» di Giacosa, mio scrittore preferito.
La mia permanenza a Milano stava per finire, mio padre aveva quasi ultimato tutte le sue cose. Una sera, nel rincasare, uno dei nostri buoni amici, il giornalista Ducati, mi prese sotto braccio, cosa che allora non si usava, e con voce commossa mi disse, che si sentiva invaghito perdutamente di me, e che prima di partire voleva parlare anche con mio padre, se io ne fossi contenta. Lo ringraziai gentilmente, ma lo pregai di non fare nessun passo poiché, ormai, il mio cuore era impegnato da lungo tempo. Egli restò male, e mi disse solo: «Le auguro signorina, di essere fortunata».
Come mezzo di circolazione, in quell’epoca, i tramvai non facevano che il servizio per la periferia, e nel centro di Milano v’eran le carrozze, più o meno belle, molte sgangherate, coi loro cocchieri, con in testa a famosa bombetta. I più vecchi di questi facevano anche un po’ la parte di ciceroni e raccontavano, durante le corse, storie e leggende di altri tempi con tanti particolari su famiglie ricche e aristocratiche. Queste possedevano magnifiche carrozze, con i cocchieri in grande livrea, e occupate da dame dell’800, nei loro abbigliamenti meravigliosi. Forse per questo lusso, i cocchieri di piazza provavano un senso di odio, quando s’incontravano con quelle. Come illuminazione, in casa, e nei negozi, c’era il gas, però i negozi risplendevano benissimo lo stesso, e le merci allora tutte a buon mercato, e i cristalli ed altre cose, tutto risaltava magnificamente.
I giorni passati a Milano mi lasciarono buoni e cari ricordi, di persone conosciute di belle cose vedute, e di un breve, ma sereno e gioioso periodo colà vissuto.
Ora mi dicono che Milano è molto cambiata, c’è la febbre del lavoro del denaro e Orio Vergani scrive: «Qui noi siamo macchine».
Al momento della mia partenza tutti i buoni giornalisti erano venuti alla stazione a salutarmi e con un commosso «arrivederci» ci lasciammo, ma non li rividi più! Com’era bella la giovinezza dei tempi passati, tutto ci divertiva; ora a vent’anni sono stanchi della vita.
Claudia Loredana Salsa
“Breve soggiorno a Milano nel 1883” firmato Claudia Loredana Comisso.
Immagine in evidenza: Panoramica di Milano nella seconda metà dell’Ottocento. In primo piano Porta Ticinese sottopassata dal Cavo Ticinello ancora a cielo aperto (Wikimedia Commons)