Quarto appuntamento particolarmente gustoso oggi quello a tavola con Giovanni Comisso.
Dopo aver improvvisato uno spettacolo in trattoria per intrattenere i commensali, lo scrittore ci ha invitato a scoprire la delizia delle Marcandole e a rilassarci in una trattoria di campagna.
Prepariamoci ad una riflessione agrodolce sull’evoluzione dei costumi italiani…accomodatevi.
Grassoni a tavola
Volfango Goethe, quando arrivĆ² dal pigro settentrione a Vicenza, trovĆ² nelle varie accademie palladiane della cittĆ che questi italiani discutevano serenamente se la fantasia poteva ispirare la realtĆ piĆ¹ che ogni altra forma di pensiero.
Oggi sembra di essere come allora e tra la stessa civiltĆ , se in un paese come San Polo di Piave si discute sulla influenza delle spezie nella cucina regionale e di questa su quella nazionale.
Il luogo era bellissimo con vecchie case come in Francia per iniziarvi subito un romanzo e verde nuovissimo e tenero. I gamberi erano assunti a piatto onorabile fuori dalla limpidissima acqua di una sorgente che affiorava a un prato. Dicono che altre volte vengono importati dalle buie grotte di Postumia, ma fuori dalle pentole dove sono stati a bollire sono ugualmente grossi e compatti nelle rosse armature. Non ĆØ un cibo che si possa trovare dovunque: bisogna ordinario, cioĆØ farlo venire, e anche quando ĆØ pronto non si sa come mangiarlo. Si mordono i gusci e una volta penetrati si scopre che contengono il vuoto. II gambero ĆØ buono e assaporabile come sugo che possa condire un risotto.
A questo si pensava vedendo la vasta folla dei commensali ragionanti, e ci si accorgeva che era una folla d’altri tempi, suscitata da certi mangioni venuti dai lembi estremi della penisola. Non sapevamo dove si fossero visti altre volte: erano i componenti di una vera Italia, memorabili, muniti di una pappagorgia encomiabile.
Essenzialmente eleganti, con stoffe di bella scelta nel colore, mentre la forma era quella dei grassoni, come solo poteva essere. Avevano scarpe snelle come un colpo di pennello, di un cuoio rispettabile, e su di esse il corpo esuberante poteva bilanciarsi ritmicamente. Subito, mentre giravano da una tavola all’altra, ci si accorse di averli visti ad altre trattorie o per stretti corridoi di un treno che li sbilanciava, appoggiandoli da una parte all’altra, mentre camminavano a piccoli passi.
Il pranzo assunse alla presenza di costoro un altro aspetto. Erano essi gli ideatori pietanze famose, di trattorie con i profumi rintanati negli angoli, di lieti conversari, di un saper narrare fiorito di immagini segnalabile o vago, di tutto un vivere che partendo dalla cucina puĆ² arrivare alla poesia e alla certezza della felicitĆ seduti a una tavola.
Che importa se erano i grassoni dalle larghe spalle, dal grande volto ovale, dalla piccola statura e dalle corte braccia? Erano costoro che garantivano l’Italia floreale e lieta.
Nessuno di questi sarebbe finito nello Stato Maggiore, tutti avrebbe avuto bisogno di una partecipazione con il proprio fisico rappresentato evidente. I grassoni non avrebbero potuto viaggiare in aereo o spostarsi da un orizzonte all’altro. I loro movimenti erano consapevoli di una dinamica ragionata. Ogni loro idea era basata sulle dimensioni del loro corpo, ma non legata a queste, cosƬ che per un grassone avere un’idea propria era assurdo.
Li osservavamo mentre si spostavano da una parte all’altra della tavola, irrequieti mentre risorgevano in noi le immagini di altri tempi: ingrassavano perchĆ© si purificavano alla cura d’acque. Erano emblemi di una trattoria e del suo mangiare e piĆ¹ ancora del cuoco; facevano pensare a qualche cliente seduto solo e intento a mangiare come un grande bruco su cumuli di tenere foglie. Alcuni anni erano bastati per cambiare l’aspetto di locali e di vivande. Sembrava di avere vissuto attraverso una malattia per finire in un mangiare diverso e con altri sistemi.
Una rivoluzione forse era scoppiata tra di noi e non ce ne eravamo accorti: bisogna essere snelli come i cittadini di quei popoli impegnati a vincere una partita domani o dopodomani.
I nostri grassoni non saranno mai uomini da salto e che possano fare del male. Questa ĆØ la vera Italia: trovare, su piccole sedie, corpi sovrabbondanti e amabili sorrisi.
Giovanni Comisso
Il Gazzettino, 19 maggio 1967