Artista concettuale e pittore – ma anche poeta, scrittore, drammaturgo e regista – Emilio Isgrò (Barcellona di Sicilia, 1937) è uno dei nomi dell’arte italiana più conosciuti a livello internazionale tra XX e XXI secolo.
A partire dagli anni Sessanta, Isgrò ha dato vita a un’opera tra le più rivoluzionarie e originali, che gli ha valso diverse partecipazioni alla Biennale di Venezia (1972, 1978, 1986, 1993) e il primo premio alla Biennale di San Paolo (1977).
E’ del 1966 la sua mostra alla Galleria Il Traghetto di Venezia dove rilascia la sua ‘Dichiarazione’ di poetica della cancellatura.
Artista innovativo, ironico e mai allineato, innumerevoli le sue esposizioni, i suoi interventi in Italia e nel mondo, tante le pubblicazioni di poesia, drammaturgia, narrativa.
Per nominare solo i suoi più recenti successi: ha creato per Expo 2015 di Milano il grande ‘Seme dell’Altissimo’; Palazzo reale di Milano gli ha recentemente dedicato una ricchissima mostra antologica; ha esposto alla Casa Manzoni di Milano una geniale rilettura in trentacinque libri della storica edizione ‘Quarantana’ dei Promessi Sposi.
Eppure nonostante la fama Isgrò ha saputo conservare la gentile freschezza del rapporto umano diretto e la memoria felice dei suoi esordi.
Come è nata la sua teoria e prassi della Cancellatura come forma di espressione artistica?
Tra il 1960 e il 1967 ero a Venezia come caporedattore delle pagine culturali del Gazzettino.
Mi capitava spesso di passare per la composizione tipografica le bozze di interventi e elzeviri di Giovanni Comisso che allora collaborava con il quotidiano veneto.
I pezzi venivano dettati dallo scrittore al suo segretario factotum e mi arrivavano fitti di ripensamenti, cancellature, modifiche.
Non era facile ricostruire il testo, torturato da correzioni, tutto trapuntato di parole eliminate, tante righe nere, parole che emergevano qua e là.
E’stato allora, ripassando quei pezzi che cominciò a maturare in me il senso nuovo delle parole barrate, della cancellatura.
Un senso nuovo dal punto di vista estetico o semantico?
Ambedue.
Da anni cercavo uno sbarramento, una riforma della parola per arginare l’ottica avanguardista, penso soprattutto al Gruppo 63 di cui peraltro stimavo alcuni esponenti, pensi più a Pasolini che a Sanguineti.
Le avanguardie pur opponendosi all’accademismo erano presto diventate esse stesse accademiche, ideologiche e perciò per me aliene.
Credo infatti che la verità di un artista non possa essere ideologica, deve essere assoluta come linguaggio ma non può e non deve assolvere a ogni domanda.
Dunque la cancellatura come riforma della parola artistica, come relativizzazione della ideologia?
Esatto, come teoria e prassi di possibili sempre nuovi significati e verità artistiche.
Come ricorda il suo rapporto con Comisso?
Eravamo in ottimi rapporti, ma lo scrittore era un po’ lunatico.
A volte, quando non era rimasto contento dei titoli o della impaginazione dei suoi elzeviri, si mostrava irritato, a volte fingeva perfino di non conoscermi: ricordo quando a Pordenone in un incontro pubblico per l’apertura della redazione del Gazzettino in quella città mi ignorò, rispondendo alle mie domande senza mai guardarmi in faccia, alzando gli occhi al cielo, come rispondesse alle nuvole.
Ma poi riusciva a essere cordialissimo, amichevole quando invece il mio lavoro lo aveva soddisfatto.
Lo ricordo a Venezia con Diego Valeri, Ugo Facco della Garda, a cena nei bei palazzi dove lo invitavano volentieri.
Comisso era dunque un frequentatore assiduo della Venezia culturale di allora?
Sì, senza dubbio.
Eppure Comisso non si faceva influenzare troppo dal bel mondo, era una mente libera, indipendente, franco e non amabile, di una secchezza gentile – direi – tutta trevigiana.
Lo ricordo per lo più nella sua casa a Treviso, dove andavo a trovarlo insieme a qualche conoscente, tra questi Andrea Zanzotto.
Le atmosfere culturali di Venezia, dove si respirava un’aria cosmopolita, toccavano Comisso solo tangenzialmente: era un uomo sostanzialmente libero e amante della semplicità.
Isabella Panfido
Immagini da
“Emilio Isgrò. Semi e cancellature”
a cura di Valerio Dehò
TRA – Treviso Ricerca Arte
18/01/2014 – 16/03/2014