Paul Gauguin
In una sala del Museo del Luxembourg s’è inaugurata in questi giorni una mostra di quadri, xilografie, sculture e ricordi di Paul Gauguin. Circa 10 quadri di quelli fatti a Tahiti, una cinquantina di xilografie pure della stessa epoca e molte strutture in legno. Si sa che i migliori Gauguin sono alla Galleria d’Arte Moderna di Mosca: tuttavia quelli qui esposti non sono tutti disprezzabili, specie per chi abbia amato la figura sentimentale di questo artista e voglia vedere qualcosa di suo per la prima volta. “I cavalleggeri nella foresta” è un quadro meraviglioso.

Un fiore bianco crea come un centro d’attenzione e dietro, nelle ombre varie di gialli e di azzurri, e di verde due cavalleggeri sostano e un cavallo sciolto s’abbevera a una pozza blu. Indimenticabile pure un autoritratto amaro. Le xilografie sono tutte piene di ebrezza panica, composte con la gioia del bambino, che trova nella vita primitiva dell’isola australe il piacere di maturarsi intatto. Nessun segno di nostalgie. Anzi un piacere di conquistare i mezzi tecnici degli stessi isolani. E nelle sculture in legno si vede proprio questo. Gauguin ha scolpito grandi tavole, statue di divinità, otri, ciotole e perfino zoccoli. Le grandi tavole sono folte di scene allegoriche e piacciono meno.
Veramente impressionante è una testa d’uomo biondo, con gli occhi socchiusi, scolpita su un grosso ceppo d’albero, un gallo sorge da un lato a cantare la sveglia sull’orecchia. Non si sa cosa rappresenti. Certo il volto di sognante o di morente è stupendo. Un’altra scultura tiene incollata una pergamena consunta dove si legge scritto di suo pugno:
Les Dieux sont morts et Atuara meurt de leur mort.
Le soleil autrejois qui l’enflammait l’endort.

Poi niente più si può decifrare. Chi sarà stata Atuara? Una tahitiana? Di quelle di cui egli si domandava Chi sono? Donde vengono? Dove vanno? Tra i ricordi vi è un’esemplare del giornale “Le sourire” (Journal sérieux) Dell’agosto 1891, tutto scritto e disegnato da lui, a Tahiti. Ancora un manoscritto di racconti tahitiani con illustrazioni incantevoli. Fotografie di Gauguin e della sua famiglia sempre più piacevoli a vedersi. Gli ammiratori di Gauguin troverebbero di che dissetarsi.
Ma nel visitare questa mostra, mi venne più volte da pensare ad un pittore italiano moderno che nelle sue opere fa molto pensare a questo e molto anche nella sua vita chiusa poco fa più tragicamente: Gino Rossi.
I buoni critici non ignorano questo nome, ma in Italia non si sa fare come in Francia la bella favola che incanti. Sarà perché in Italia non ci sono speculatori. Una mostra personale di Gino Rossi, o una monografia sulle sue opere disegni (gli ultimi, prima di impazzire nella solitudine della sua abitazione sul Montello, sono d’una sovrumana potenza!), Sorrette da una critica di Barbantini o di Carrà, che lo hanno ben conosciuto, potrebbero porre il nome di Gino Rossi all’altezza che merita. Perché vorremo farci rimproverare dai posteri la nostra indifferenza?

Claude Monet
Alla Galleria Durand-Ruel, 37 Avenue de Friedland, si è aperta una mostra di Claude Monet abbastanza completa. Vi sono circa novanta tele che vanno dal 1866 al 1919. Questo pittore che oramai ha la sua gloria sopra la sua tomba, tuttavia ci lascia delusi. Si capisce bene come la magia della sua tecnica avesse dovuto prima sconcertare poi attrarre l’ingenuità della folla. Ma il contenuto dei suoi quadri il più delle volte è d’un vuoto impossibile.
Osservavo in altra esposizione una Marina di Cezanne, vicina a una di Monet; quale differenza! Là il mare nasceva e si approfondiva. In Monet invece stancava e scompariva. Anche questi famosi quadri di ninfee, sono piuttosto degni di una sensibilità femminile. Il divisionismo ha finito col tradire l’artista. Per trovare l’indimenticabile, bisogna ricorrere a quelle opere fatte alla Lisley, panorami con effetti di neve o lungo canali, ma più che mai belli sono altri quadri, come ”Champs de tulipes a Leyde” e “Bois d’oliviers” dove, non eccessivamente preoccupato dal divisionismo come nella “Chasse”, l’artista ci presenta costruzioni perfette di cui ha arricchito la terra.

Aux artistes indépendants
Si è inaugurata al Gran Palais la 39^ esposizione degli Indipendenti. Esposizione che ha tutta una ragione sentimentale. Circa tremila espositori. Pittori rifiutati a tutte le esposizioni, scalzacani d’ogni genere partecipano a questa mostra che non ha giuria. Si ha l’impressione del vecchio motivo “presa della Bastiglia” visitando queste quaranta sale ingombre di quadri e di folla. L’idea democratica alla francese: esposizione senza giuria nel Gran Palais! 39 esposizioni, dal 1884. Dicono che ce ne siano state di ottime, che grandi artisti hanno cominciato a esporre qui, che quella dell’anno scorso era superiore a quella del Salon d’Automne, ma certo quest’anno vi sono soltanto 3000 opere orrende, l’una sull’altra; cose indegne della più modernista esposizione di provincia. Eppure Parigi ha risposto oggi all’inaugurazione partecipando con una folla di circa da 49.000 persone, tutti i giornali dedicano lunghe colonne e riproducono quadri. Bisognava vedere l’avidità dei visitatori, animati come dalla smania di scoprire l’artista oppresso dai giudici maligni, il genio incompreso che muore di fame. L’esposizione degli Indipendents è un’istituzione come la Camera dei deputati. Ci si sente la stessa aria. Ed è qualcosa di detestabile. Detestabile anche come invadenza della pittura rispetto alle altre arti; senza riuscire a dare se non l’impressione della stupidità potenzializzata.
Giovanni Comisso
da la Fiera Letteraria del 04/05/1928
Immagine in evidenza: Henri Gervex – A Session of the Painting Jury – Google Art Project (Wikimedia Commons)