Quelle città, quei palazzi; quelle chiese coi loro ornamenti di pittura e di scultura che gli artisti italiani hanno creato, più che per noi italiani, per gli altri popoli, esclusi dal poter creare artisticamente quanto noi, vengono da costoro, oggi, minacciati, colpiti, distrutti.
Questa prova che stiamo attraversando non è nuova per l’Italia, rientra anzi nella tradizione documentata dalla storia. Dal crollo dell’Impero romano d’occidente l’Italia ha sempre subito periodiche distruzioni della sua civiltà, e sulle rovine il genio dei nostri artisti ha creato con nuovo estro opere nuove. Questo è il giuoco generoso e crudele che ci è riservato da lungo corso di secoli e dobbiamo accettarlo senza sgomento.
Fummo generosi nel creare per i popoli che ignoravano le supreme possibilità dell’arte: l’Abbazia di Cassino, l’Osservanza, il Tempio Malatestiano, la Schifanoia, la Cappella Scrovegna, le ville vicentine dei Tiepolo e di Palladio: è crudele vedere questi doni minacciati, o colpiti o distrutti, dagli stessi beneficiati, e con quelli tutta l’Italia nelle sue città, nei palazzi, nelle chiese.
Ma non importa, siamo senza fine fecondi in questa massima possibilità umana; distruggano pure e ci vendicheremo, umiliando i distruttori con nuove opere d’arte.
Oggi, gli artisti italiani devono essere consapevoli che questo è il momento di essere messi alla prova. Spetta a loro ridare gli schemi essenziali della vita rappresentati dall’arte: risollevare dalle macerie l’armonia. Senza indugio devono mettersi freneticamente al lavoro, gettando dietro alle spalle tutte le carezzevoli comodità di un tempo. E quelli che oggi non si sentono di poter lavorare perché non hanno la quiete del loro studio o perché non vedono possibile un’esposizione o perché i materiali sono difficili a trovarsi, non sono veri artisti.
Il vero artista sa che l’arte fiorisce per dura lotta, per aspra fatica contro le valanghe, nei deserti più squallidi. I grandi, i veri artisti italiani hanno sempre creato in condizioni simili a quelle del nostro tempo, eccitati anzi da queste avversità; si pensi a Dante perseguitato ed errabondo.
Due artisti contemporanei dànno, oggi, la prova di creare nuove opere contro la minaccia e le distruzioni: Arturo Martini e Filippo de Pisis.
De Pisis, dopo la distruzione del suo studio e della sua casa a Milano, ha ritrovato senza battere ciglio la forza di rifarsi un altro ambiente di lavoro, e pur col freddo che gli ghiaccia le mani non mette tregua nel creare quadri in un crescendo di poesia e di bellezza. I bombardamenti, gli allarmi, e tutte le difficoltà per vivere non incidono sul suo lavoro.
Arturo Martini, forte per tutta la sua vita che è stata sempre lotta, vince ugualmente le stesse difficoltà e si tormenta nella ricerca di nuove espressioni sia in pittura che in scultura, I suoi disegni ultimi sono miracoli di grande suggestione dove la linea si evolve e danza per rivelare in ogni figura il Dio che vi respira dentro. Ma la sua scultura ultima, il Pegaso alato, precipitato, stroncato e contorto, che una rivista ha annunziato essere in esecuzione per il monumento in onore dell’eroe del volo Arturo Ferrarin, è una conclusione culminante della sua arte. Questo monumento celebrativo non è uguale a nessun altro al mondo: un grande cavallo alato spezzate le sue ali è rappresentato nell’attimo della caduta contro la terra. Dalle forme sopraffatte scaturisce un alto disperato nitrito. Crolla il sogno ideale dell’eroe di volare oltre la terra e si dilegua con spasimo nella caduta mortale. Sotto, alla fine del basamento, vi è l’immagine dell’eroe, distesa, pacificata, ad altorilievo come quelle figure che si vedono nelle nostre chiese antiche, presso gli altari sopra le tombe di santi o di martiri.
Perfetta la concezione dell’opera, irraggiungibile la fantasia, strapotente l’espressione. Sulle rovine di questa nostra civiltà, contro la minaccia di nuove e più profonde distruzioni, ecco che sorge una nuova civiltà dalle mani degli artisti di questa stessa epoca che Dio concede sopravvivano operanti. E bisogna riconoscere il prodigio nell’avere, una cittadina come Thiene, dove nacque Arturo Ferrarin, voluto quest’arditissima e nuovissima opera, consapevole che un’opera d’arte non è soltanto in funzione del luogo dove sorge, modesto che sia, ma del mondo intero.
Giovanni Comisso
da il Corriere della Sera del 19/02/1944
Immagine in evidenza: Arturo Martini – Pegaso alato Palazzo delle Poste – Arch. Roberto Narducci 1932 – Savona (fonte: Beni Culturali Online, part.)