"Come arcipelaghi" di Caterina Perali: nessuno è davvero un'isola. Recensione e intervista

“Come arcipelaghi” di Caterina Perali: nessuno è davvero un’isola. Recensione e intervista

Come arcipelaghi” è la terza prova narrativa di Caterina Perali, scrittrice trevigiana che vive tra Treviso e Milano. Questo romanzo, come anche il precedente “Le affacciate”, è stato pubblicato da Neo Edizioni, una piccola e agguerrita casa editrice di Castel di Sangro che ha sempre avuto un occhio di riguardo per la qualità delle storie pubblicate ma anche per quello che definirei uno sguardo obliquo, un punto di vista differente sulla realtà.

Avendo avuto il privilegio di poter leggere tutte e tre le opere di Caterina Perali, partendo dal romanzo del 2015 intitolato “Crepa” e pubblicato da 13Lab Edizioni, ho avuto la fortuna di seguire gli sviluppi di quella che l’editore definisce “La trilogia della casa di ringhiera”. Spieghiamo il motivo di questa definizione. “Crepa”, “Le affacciate” e l’ultimo “Come arcipelaghi” hanno un’ambientazione in comune, quella di un vecchio palazzo di Milano, uno di quei palazzi con il ballatoio che una volta ospitavano giri di prostituzione e che ora hanno decuplicato il proprio valore grazie, o a causa, del mercato immobiliare milanese che molto spesso prende tinte assurde.

La protagonista di questo romanzo si chiama Jean (dice a tutti che il nome deriva dal fatto che ha una nonna marsigliese, ma il vero motivo si scopre solo leggendo il libro) e come lavoro cura una rubrica di “sostegno generico” su Instagram per un account che dice essere molto conosciuto. Questo impiego di un’ora quotidiana le porta in tasca mille e cinquecento euro, ma lei, sempre a tutti, dice che non vive di quelli, vive della rendita della casa che le ha lasciato nonna. Si è, in qualche modo, costruita una narrazione da poter dare in pasto agli altri, forse per non dover inserirsi nelle complicazioni portate dal dover raccontare agli altri, soprattutto agli sconosciuti, chi siamo veramente e cosa è veramente importante nelle nostre vite.

Un giorno nel palazzo in cui abita Jean arriva Chiara, una giovane donna in carriera, una giornalista che si muove tra l’Italia e Bruxelles. L’arrivo di un nuovo elemento che si inserisce nell’equilibrio creato da un microcosmo come può essere, appunto, quello creato in un palazzo, è un evento che va sempre studiato con cautela. Chiara è single, ma da una conversazione telefonica che ha con la madre sorda Jean capisce che Chiara vuole un figlio e lo vuole con l’inseminazione artificiale. Da questo punto in poi, il rapporto tra queste due persone che poco si conoscono, si rafforza. Jean accompagnerà Chiara nel percorso di avvicinamento all’inseminazione che avviene a Valencia e poi anche oltre, quando sarà chiaro se questa avrà avuto successo o meno.

Jean, proprio come noi, viene accolta in un processo di apprendimento continuo. Quali sono gli step da portare a termine prima di andare a Valencia? Che farmaci servono? Quando bisogna prenderli? Quali sono i segnali che mostrano se le cose stanno andando bene?

Questi sono alcuni degli interrogativi che sorgono durante la lettura e che grazie a Jean e Chiara possiamo chiarire, ma è poi un altro incontro, stavolta fortuito, con una delle ascoltatrici degli streaming di Jean che iniziamo a renderci conto anche delle difficoltà burocratiche.

In tutto questo Jean si interroga se vuole o no avere figli. Il rapporto con Carlo, il fidanzato che fa il pendolare da Roma dove lavora come architetto in uno studio rinomato, sembra andare bene. Certo, questo rapporto è fatto, sostanzialmente, di piccoli gesti che costituiscono ormai una routine, ma le routine sanno essere anche confortanti e placano lo stress. L’arrivo di Chiara e il suo desiderio di maternità però modificano quella routine. Jean è spinta a farsi domande a cui non aveva pensato e alla fine giunge a una conclusione consapevole proprio perché si è guardata dentro e ha capito ciò che vuole da sé stessa e dalla propria vita.

Questa poetica del ballatoio di Caterina Perali ha un taglio molto particolare. Il punto di vista da cui si osservano gli sviluppi del mondo è immobile, sono gli eventi a farsi sotto per essere osservati e studiati, diremo compresi.

Nel romanzo precedente “Le affacciate” uno dei temi principali era quello della disoccupazione, la necessità di reinventarsi, in questo, come detto, è la ricerca di una maternità in un mondo che pone degli ostacoli burocratici e sociali, un mondo che fa sentire le donne sole davanti a questa scelta.

Credo che il punto di forza di questo romanzo sia lo sguardo con cui la Perali guarda alle cose. Jean è un tramite, una forza curiosa che cerca di andare in profondità nelle cose e ciò va in contrasto con lo scopo della diretta giornaliera che tiene su Instagram e che, parole sue, vuole offrire “supporto generico”. Nei confronti di Chiara e del suo percorso, il supporto di Jean non è più poi così tanto generico. Jean empatizza, si interroga, si preoccupa, gioisce e si intristisce per lei e per le altre donne che sono dovute ricorrere all’inseminazione artificiale. Ma la sua curiosità e l’abitudine a studiare gli argomenti che poi propone nelle dirette streaming la fanno interrogare anche sul tema della famiglia, soprattutto in relazione alle nuove tipologie di famiglia come quella a cui ambisce Chiara e cioè quella omogenitoriale.

Sono convinto che la porta da spalancare per riuscire a entrare in un argomento che non conosciamo possa essere aperta anche con leggerezza, con una sana curiosità mista al rispetto che si deve per ciò che sfugge alla nostra comprensione e per quelle zone di buio che abbiamo e che vogliamo illuminare.

L’intervista

[Gianluigi Bodi]: Avendo seguito la tua carriera fin dall’inizio ho visto già da “Le affacciate” le connessioni con “Crepa”, mi racconti come è nata questa “Poetica del ballatoio” e qual è l’aspetto che ti affascina di questo microcosmo che racconti?

Caterina Perali

[Caterina Perali]: Che bello che la chiami la “Poetica del ballatoio”. Ti ruberò quest’espressione. A Milano ho vissuto per tanti anni in una casa a ringhiera (che poi è diventata la casa dove ho ambientato le storie dei miei libri) e mi sono innamorata delle dinamiche che nascono nei ballatoi. C’è un’interazione continua e perpetua, spesso non voluta. Non esiste mai un vero dentro e un vero fuori casa. Le persone sono in relazione, è difficile avere dei segreti. C’è sempre un vicino che ha sentito o visto qualcosa. L’incipit di Come arcipelaghi è proprio questa cosa qui. Jean sente urlare Chiara e inizia a farsi gli affari suoi. Mi affascina e mi diverte l’idea del collegamento e della connessione tra le persone, il concetto urbano di comunità.

L’argomento che hai deciso di trattare in questo romanzo è molto importante e molto delicato, che domande ti sei fatta prima di iniziare a scrivere il romanzo? Sono le stesse che si pone Jean al momento di decidere se fare o meno una diretta streaming su questo argomento?

Mi sono chiesta: come posso fare a parlare di maternità in modo brillante e ironico, senza diventare superficiale? Come posso alleggerire un tema così profondo senza diventare patetica? Come Jean nelle sue dirette Instagram, ho provato a metterci del mio per dare un sostegno generico sull’argomento. Poi in realtà ho seguito per più di un anno il percorso di PMA di una donna single in Spagna, ho intervistato avvocati, medici, e studiato tanto, sicché da sostegno generico forse sono riuscita a dare qualcosa di più di più del puro intrattenimento. 

Come hai bilanciato gli aspetti scientifici e tecnici dell’inseminazione artificiale con la narrazione emotiva e umana del romanzo?

Ho scritto e riscritto tante volte le stesse pagine. Se nel rileggerle dovevo avere un camice bianco per capirci qualcosa cancellavo e ci riprovavo. Il capitolo Giovedì, ad esempio, parte come trascrizione di una call tra la ragazza che ho seguito e una clinica spagnola, sui vari protocolli medici offerti per quel tipo di trattamento. L’avrò riscritto almeno dieci volte. Non volevo diventasse un saggio, un tutorial o un bigino medico. Ho usato le parole della dottoressa spagnola per non scrivere imprecisioni e il mio cuore per raccontare le emozioni e le paure della mia intervistata. Mi interessa osservare la realtà, non giudicarla o spiegarla.

Cosa vorresti che il lettore e la lettrice portassero con sé dopo aver concluso la lettura di “Come arcipelaghi”? 

Un po’ più felice. Mi piacerebbe che allentasse il giudizio e si prodigasse all’ascolto dell’altro, rispettandone la diversità. La vita sa essere complessa, e ognuno ha il diritto di vivere come può.

“Come arcipelaghi” di Caterina Perali
ASIN: B0D7NXNHJB
Editore: Neo Edizioni (2 ottobre 2024)
Copertina flessibile: 160 pagine
ISBN-13: 979-1280857293
Peso articolo: 220 g
Dimensioni: 14 x 1.8 x 20 cm

Caterina Perali è nata nel 1975 e vive tra Treviso e Milano. Lavora come Producer e Coordinatrice di Produzione per video, cinema e spot pubblicitari. La scrittura di questo romanzo è stata accompagnata da ricerche, interviste a medici, associazioni e studi legali che sostengono e studiano i nuovi modelli familiari. L’autrice ha seguito per più di un anno il percorso medicalmente assistito di una donna single, condividendo paure e cartelle cliniche. “Come arcipelaghi”  chiude la Trilogia della casa di ringhiera, iniziata con  “Crepa”  (13Lab Edizioni, 2015) e proseguita con  “Le Affacciate”  (Neo Edizioni, 2020).

Immagine in evidenza: Foto di Mike Chai

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