Per la pittura, come per la massima parte dell’attività spirituale giapponese, prima della Restaurazione della potenza imperiale (1867), la maestra fu la Cina; dopo incominciò a essere l’Europa. I primi dipinti, quelli d’ordine religioso, vennero in Giappone assieme al buddismo, nel quinto secolo; il resto in più riprese nelle epoche successive. Strisce da tenere appese nell’angolo della stanza dedicato all’arte, rotoli da svolgere e contemplare nei momenti di tristezza, paraventi, ventagli e pareti divisorie tra una stanza e l’altra.
Musei e collezioni private
Sogliono i Giapponesi esporre e adoperare queste cose con soggetti diversi, a seconda del momento e della stagione, ricercando in essi l’emozione per via del contrasto. Ciliegi in fiore e ireos azzurri, nell’autunno; crisantemi, di primavera; paesaggi nevosi, d’estate; panorami sereni, nei giorni piovosi. Ad ogni anno viene dato un nome d’animale; ed ecco che nei dipinti da esporre figurerà l’animale a cui l’anno è dedicato. I soggetti si potrebbero annoverare senza molta fatica; per secoli si sono ripetuti sempre gli stessi argomenti con lo studio di variare nella composizione e nelle pennellate. Ogni famiglia ricca ha la sua collezione d’antiche opere cinesi e giapponesi. Ogni negozio, trattoria o albergo, come ha sull’entrata un piccolo angolo dedicato alla natura con zampillo d’acqua, alberi nani, rocce e pesci rossi natanti nella breve pozza, ha anche dipinti di buon gusto nel posto riservato.
Le opere migliori si trovano non solo presso le grandi famiglie e presso gli artisti che se ne possono permettere il lusso, ma anche nelle case da tè che siano state per il passato luogo di ritrovo di grandi artisti. Molte volte le lasciavano in luogo di denaro per pagare lo svago. La vita artistica giapponese è maturata nei conventi buddisti con opere severe, metafisiche, ma anche con altre profondamente umane e realistiche, ma dove questo carattere ha trovato predominante sviluppo è stato nelle case da tè, e il quartiere amoroso di Yoshiwara ne fu il vero centro. Famosi sono i musei di Nara, di Kioto e quello Imperiale di Tokio; ma, dati la grande quantità di opere e l’enorme spazio che richiederebbero se tutte venissero esposte, s’usano fare esposizioni periodiche per scuole o per autore.
Le erbe e i fiori di Botticelli
D’antica pittura cinese e giapponese ci fu possibile vedere abbastanza. Manca generalmente la prospettiva, l’opera si regge sul disegno, e su un grande gusto del colore, in certi primitivi del tutto affine a quello dei nostri. Sublimità nella composizione, ma palese uno sfuggire continuo alla coraggiosa comprensione reale del mondo, per cadere in astrazioni a volte prossime al nulla. Sovente un’inutile insistenza nella minuziosa esattezza dei particolari, senza riuscire a cogliere l’essenza totale. Quanti e quanti fiori più confacenti ad album di botanica, che al posto d’onore per l’arte! Un critico giapponese che ci accompagnava sorrideva talvolta come si preferiva quelle opere, che, per accennata prospettiva e conquistata sostanza, s’avvicinavano alle nostre. Egli andava orgoglioso di quelle piatte e stilizzate che per noi risultano vuote. E richiesto quale preferisse dei nostri pittori, rispose: Botticelli, ma nei particolari di erbe e di fiori, mentre Tintoretto gli riesciva opprimente ed ingombrante. Il fatto è che non mancano tra gli antichi pittori cinesi e giapponesi rari esempi di quelli che sono riesciti a creare, fuori dallo stile caro agli asiatici, paesaggi e figure che appaiono veramente eseguiti da uomini completi. Rari esempi che stanno però a dimostrare che quando l’accordo dello spirito è elevato, pure l’opera riesce a compiersi sulla stessa altezza. Attorno a questi lavori ne fluttua un’enorme distesa di altri compiuti con un’ispirazione che riesce stucchevole al nostro giudizio. Belle espressioni non mancano; ma dopo che ben se ne sono viste si finisce col concludere che questa civiltà millenaria non arriva nell’espressione pittorica che al ginocchio della nostra. E viene da pensare che, come pare che per il Greco un difetto visivo imponesse la deformazione allungata delle figure, così a questi orientali le loro palpebre socchiuse sugli occhi non permettano che difficilmente di avere un’empia visione dell’apparenza del mondo per profondità e volume. Perché poi non è che manchino qui in certe mattine cieli altamente luminosi o vibranti; e su queste antiche sete non splende un solo quadrello di cielo!
Vaghe influenze occidentali
Ecco la primavera che impera sulla massa schiacciata delle casupole innumerevoli, sfioriscono i ciliegi sul rosso delle azalee attorno, e il verde degli antichi fanali di rame o il grigio di quelli di pietra offerti dai vassalli davanti, alla tomba del principe Tokugawa, nel parco di Ueno, stanno quasi umiliati di non poter germogliare. I ragazzi non possono più rimanere chiusi nelle botteghe e scappano sulla strada.
Nei parchi, negli angoli della città dove un canale stagna accanto ad un cavalcavia su cui fuggono i treni, ecco cavalletti Impiantati e giovani pittori che dipingono. E un po’ fuori di città, sui prati, studentesse tutte rivolte a punti diversi dell’orizzonte che pennellano attentamente.
È la legge d’Europa che travaglia. Prima si osservava lungamente la natura. ma non si dipingeva davanti ad essa. La pittura moderna viene esposta a getto continuo nell’Esposizione di Ueno. Anticamente una vaga influenza occidentale venne attraverso i gesuiti olandesi e si possono vedere opere di questo periodo che però interessano solo dal lato storico. Con la Restaurazione, primo maestro europeo fu il nostro Fontanesi. Non rimase a lungo, lasciò opere sue e discepoli. Poi il posto dell’Italia venne preso principalmente da Parigi.
I pittori moderni giapponesi si possono dividere in due categorie. Quelli che dipingono ad acquarello ispirandosi alle tradizioni; e quelli che dipingono ad olio imbevuti totalmente di tutte le manifestazioni pittoriche moderne europee. La prima schiera nei suoi elementi migliori è nota in Italia per essere apparsa nella recente Esposizione di Roma.
Pittori tradizionalisti
Primeggiano tra questi pittori: Kawai Gjokudò, Yokoama Taikan o Teizo Hirafuku. Il Taikan ha grande fantasia e grandi risorse d’abilità, i suoi bianco e nero al primo momento stupiscono e strappano grida di piacere, ma come se ne son visti parecchi stancano e lasciano dubbiosi che tutta la sua arte non sia che un trucco sublime. Ad ogni modo egli sa trarre da certe pennellate effetti considerevoli. Hirafuku è un’anima sensibilissima. Uno dei nostri poeti più profondamente compreso ed amato in Giappone è San Francesco d’Assisi, ora questo pittore, interamente dedicato alla pittura di animali, sta vicino al fraterno amore del Santo nel ritrarli. Oltre ai suol lavori, sono commoventissime le pagine che egli scrive sullo stesso argomento.
Gjokudò è pittore di Corte, insegna all’Accademia e la sua arte è delle più oneste. S’ebbe il piacere di conoscerlo nella sua casa in un quartiere assai lontano dal centro. Al nostro arrivo, sulla soglia, mentre il suo servo aiutava a toglierci le scarpe, Gjokudò apparve leggero e sorridente. Prima ci si salutò alla maniera giapponese con tre inchini, poi ci stringemmo la mano. Asciutto, quasi argenteo nel volto allungato, vestito con la severa semplicità d’un kimono violastro, il suo sguardo brillava ospitale. Si camminava scalzi sulle stuoie; il suo studio, tra le pareti di legno con lunghe finestre aperte sul giardino, aveva qualcosa d’arioso e tiepido come sotto ad una grande tenda. I capelli grigi e i brevi baffi irti davano all’artista. con la magrezza del volto, un aspetto di aspra sofferenza nel suo attaccamento all’arte. Accanto alla finestra, alla luce diretta, teneva disteso sul pavimento un lavoro incominciato. Dipingono stando assisi per terra. Accanto in vassoi di lacca c’erano delle tazzine dal fondo dorato, coi colori. La teiera di bronzo sul braciere, dei fiori in un vaso.
La pittura di Gjokudò è un delicato accordo di colori; paesaggi montani estivi o invernali; con pennellate piane e limpide quasi distillate. Egli aveva dipinto la sera avanti su d’un paravento un gruppo di puledri (perché il 1930 è l’anno che porta il noma del cavallo). Lavoro pieno di sicurezza, gaio e veritiero, ma egli nel riguardarlo sorrideva con diffidenza perché non gli era costato che venti minuti di tempo.
Fu egli stesso che ci fece da guida nella visita all’Accademia. Qui s’insegna pittura, secondo lo stile giapponese e europeo, scultura e architettura. Gli allievi vengono ammessi dopo difficile esame, dove generalmente ne viene scelto uno su dieci. Il corso dura cinque anni. Nei primi tre studiano su programmi stabiliti, nei successivi vengono lasciati liberi di dar corso alle proprie ispirazioni, infine vengono licenziati con un diploma. Incominciano gli studi sui grandi classici, studio di pura copia, l’originale sotto e sopra la carta bianca su cui rifanno alla perfezione tutti gli innumerevoli tratteggi. Questi giovani studenti dalle grosse teste rase o capellute fin quasi alle spalle stavano curvi accecandosi nello sforzo. In seguito passano allo studio della natura: piante od animali e al terzo anno a quello della figura.
Futurismo, cubismo, espressionismo
La categoria dei pittori alla maniera europea trova insegnamento parte nell’Accademia, parte direttamente a Parigi; e tutta una grande massa di disperati si arrangia per proprio conto. Futurismo, divisionismo, cubismo, espressionismo turbinano nelle loro teste. Non c’è forma moderna europea o stile di famosi pittori che non abbia qui imitatori. Picasso, Derain, Dufy, Chagall ecc.; anche i nostri pittori moderni, se fossero conosciuti, qui, diverrebbero subito dei capiscuola. Il disordine e lo sperpero di materiale sono incredibili. Pittura falsa e sporca eseguita nella smania aggressiva di conquistare il nostro segreto e superarci. Quanto avviene per la pittura, avviene in tutti gli altri campi intellettuali, artistici, di pensiero e d’idealismo sociale.
I Giapponesi hanno un solo ordine nell’assorbire la nostra civiltà: buttarsi disperatamente sul nuovo, senza arrivare ad assorbirlo e giudicarlo, per la smania di passare immediatamente ad altro. Non si discerne; non si comprende lo spirito. Si crea quindi una marea di gioventù Intellettuale instabile. Informe, caotica, che è un po’ di tutto e nulla nello stesso tempo. Anarchia in arte che passa d’un balzo attraverso al pensiero nel campo sociale e politico. Alla Esposizione d’arte moderna nel parco di Ueno, dove le mostre si succedono alle mostre, più che le opere esposte tante di stile giapponese che europeo era Interessante la folla de visitatori. Principesse imperiali, quasi confuse tra la folla dato il tono modesto che dà il kimono, amatori d’arte che coi ventagli alla mano indicano e si spiegano tra loro le ragioni di certe bellezze, scolaresche di ragazzi e di ragazze muscolose e sane come nutrite semplicemente di riso e di gemme di bambù, gente povera, vecchietti, vecchiette, donne coi bambini sulle spalle; e uno di questi bambini dal volto purpureo e rotondo avido negli occhi, indicando col dito un lavoro d’un pittore di stile giapponese, chiedeva: «Ma che casa è quella?» e la sua domanda racchiudeva il giusto e umano desiderio di vedere un mondo piantato sul reale. Gente che si fa attenta davanti ai lavori antichi e ugualmente davanti ai moderni. Studenti d’Accademia che prendono appunti e che riproducono dettagli e poi tra mezzo a questa folla, schiere di artisti occidentalizzanti, pariginizzantl, bohémiens in ritardo, squattrinati, mal vestiti, con cappellacci forse trovati tra i rifiuti, con lunghe chiome, e a volte con la frangetta sulla fronte alla Fujita, con cartelle, tavolozze e scatole sotto al braccio e pennelli nei taschini. Ragazzi che non avranno quindici anni e ragazzi che ne avranno una quarantina.
Giovanni Comisso
da il Corriere della Sera del 29/06/1930
Immagine in evidenza: Yokoyama Taikan – Snowy Peak with Cranes, Yokoyama Taikan Memorial Museum, Tokyo
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