Tra le vie fiorite del Giappone. Impressioni di viaggio in Oriente di Giovanni Comisso

Tra le vie fiorite del Giappone. Impressioni di viaggio in Oriente di Giovanni Comisso

Nei teatri dove si recita il dramma classico, si possono anche vedere certi episodi fantastici danzati che sono forse le più belle cose che offra il teatro giapponese. Talmente belli che non ci si sa spiegare come questi Giapponesi, così pronti nelle iniziative affaristiche, non abbiano ancora cercato di portarli in Europa per prendere il posto del balletto russo. In questi episodi c’è molta influenza cinese; l’impronta giapponese sta nella messa in scena, nella fusione dell’azione e nella grande arte degli attori. La Danza del leone rosso e del leone bianco, che s’ebbe occasione di vedere, aveva elementi del Dramma No, che forma altro ciclo teatrale. Il Dramma No consiste in rappresentazioni liriche di severo concetto, d’origine buddista, anticamente molto care al gusto semplice dei samurai.

Actor de teatre kabuki al mig d’una representació (foto di Profegs)

Belve in palcoscenico

Gli attori di queste rappresentazioni portano al volto certe maschere di legno scolpite e dipinte d’aspetto umano o grottesco della più alta espressione. Ora in questa danza dei due leoni, gli attori danzanti sulla scena e a volte sulle vie fiorite, uno con grande criniera rossa e kimono sviluppato in larghe pieghe, verde, oro e rosso, e l’altro con criniera bianca e kimono nero, oro e bianco, entrambi con truccature marcate al volto, assumevano nel passo, nel gestire e nello scuotere la criniera tutto un ironico e talvolta autentico tono animalesco, per finire in un ebbro giuoco tra loro agitando e sfiorando le lunghe criniere come lunghe chiome, sempre accompagnati da una musica accelerata e vampante.

Altro episodio del genere è quello chiamato YoshitsuneSembonsakura. Eccone presso a poco la trama. Una donna ha avuto in dono dal proprio marito un tamburello, e nei momenti di solitudine sul ballatoio della propria casa ella si diverte a suonare. Ma come batte con la mano aperta il tamburello tenuto sulla spalla, ecco che appare un personaggio tutto vestito di bianco, il quale le si fa accanto supplichevole, tra il melanconico e il dolce, con pose e mosse a scatti imitanti la cadenza sospettosa della volpe. Egli è il figlio della volpe con la pelle della quale venne fatto il tamburello. La donna intenerita gliene fa dono e allora egli principia una danza sempre accompagnandosi con tocchi secchi del tamburello, dal suono come di lamento represso. Le sue movenze tra l’umano e l’animalesco ora esprimono amore filiale verso la madre, ora tristezza e ora fremiti di gioia.

Altra danza vista è quella dal titolo: Musume Dojoji. Una cortigiana innamoratasi d’un monaco del tempio di Dojoji si presenta per sedurlo a forza di danze una più bella dell’altra, con continuo variare di kimono, ma il monaco rimane impassibile. Durante una di queste danze la grande campana del tempio cade sulla cortigiana che vi rimane rinchiusa. I monaci riescono a risollevare la campana e trovano la donna tramutata in serpente che li spaventa e fugge. Sullo sfondo della scena era una ventina di persone componenti l’orchestra e il coro, assise su due ripiani, vestite alla foggia antica a colori verde e nero con certe sopraspalle rigide come punte d’ali, e formavano quello che si dice nelle cronache provinciali un bel colpo d’occhio.

Una scena dell’opera teatrale Bunshun Kabuki – Kyo Kanko Musume Dojoji (foto di Bungeishunju Shinsha)

Vecchie glorie

L’attore che faceva la parte di cortigiana era il famoso Kikugoro. S’andò a visitarlo mentre appunto stava preparandosi per questa danza. Come s’arrivò agli appartamenti degli attori toccò togliersi le scarpe; pur essendo la costruzione in cemento tutto il decoro interno era alla maniera dalla casa giapponese. Sopra un ingresso era un piccolo altarino buddista. In alcune stanze stavano i musicisti assisi sulle stuoie intenti a provare gli strumenti. Da una porta che metteva al palcoscenico s’è visto scendere l’attore Balko Onoye, vecchio di sessantacinque anni, vestito da donna, col volto incipriato e orribilmente disfatto (aveva recitato un episodio dove il suo volto di giovinetta doveva trasformarsi in quello d’una vecchia: e questo coincideva col vero). Per non inciampare sul lungo kimono veniva aiutato da due inservienti nel discendere gli ultimi gradini. Sorrise con stanchezza, pareva un ferito, entrò in un ascensore e disparve. Un inserviente con la parrucca alla foggia antica, cioè rasato fino a metà del cranio e poi con i capelli annodati sull’occipite, ci fece passare in un piccolo appartamento, pieno di gente assisa. Kikugoro stava nell’ultima stanzetta inginocchiato davanti allo specchio, tutto intento ad incipriarsi il volto ed il collo. Era quasi a dorso scoperto. Attorno erano inginocchiati i direttori del teatro in tight.

Più che interrogarli, come ci consigliava il signor Melkai (segretario interprete della R. Ambasciata che gentilmente ci accompagnava), giacché i Giapponesi vanno matti per le interviste, era interessante vedere quest’uomo fortissimo trasformarsi lentamente in donna. Egli volle farci vedere come per eseguire le danze delle geishe occorrono muscoli saldissimi d’acrobati e ne dava testimonianza battendo con violenza il pugno sulla sua coscia che non cedeva. Poi spiegò come per assumere il passo ondulato della donna giapponese debba obbligare ossa e muscoli delle spalle a rientrare, quasi sformandosi sotto uno sforzo continuo. La sua toeletta richiese circa un’ora, due inservienti inginocchiati accanto erano tutto un continuo passargli ora piattini di cipria, ora di rossetto, ora di altre manteche. Il suo volto ad un certo momento, sotto ai capelli rasi, arrivò a sembrare quello d’un clown, ma come un altro Inserviente gli passò un’alta parrucca ed egli se l’impose guardandosi allo specchio col gesto preciso di Napoleone che s’incorona da sé, fu d’un subito tramutato fino all’altezza del busto in una geisha solennissima. E sorrise attraverso allo specchio. Poi s’alzò In piedi, si teneva coperto alla meglio il resto del corpo, corse in un angolo dove gli passarono attorno alla vita una sottoveste rossa scendente fino alle caviglie e poi indossò un fastoso kimono azzurro a voli dorati d’aironi. La sua voce continuava con tono naturale, mentr’era così d’un attimo scomparso sotto la mascheratura perfetta.

Shakkyo (foto di Jorge Cristóbal Fernández-Trevejo Portuondo)

Kikugoro e l’avvenire

Egli aveva nella mattinata inaugurato la prima scuola d’arte drammatica: fondata per sua iniziativa. Ed ecco cosa ci disse: «L’attore giapponese è sempre stato più o meno tenuto in disparte dal resto della società, a volte quasi giudicato con ripugnanza. Quand’ero ancora ragazzo e già recitavo mi s’ingiuriava col titolo di Kawarakojiki (mendicante di riva di fiume). Tale stato di cose è andato recentemente migliorando. È necessario introdurre nuovi elementi di vita nel teatro, ammettendovi attori e attrici capaci di dare ai drammi un’interpretazione conforme allo spirito dei tempi moderni. Se si trascura di far ciò il dramma Kabuki è destinato a scomparire. Nel passato la professione di attore è stata strettamente ereditaria. (Io sono il settimo dei Kikugoro). Ma chiunque abbia mentalità adatta e sia capace d’interpretare le parti assegnategli potrà entrare in questa carriera. Questo lo scopo della mia scuola. In passato l’attore vestiva e viveva in modo tutto speciale, ma gli studenti di questa scuola non seguiranno tale usanza. I miei allievi dovranno essere uomini di carattere e cancellare la reputazione che ha gravato sinora sul nostro attore teatrale quale essere effeminato e immorale». Un inserviente entrò, fece un inchino, e annunciò che il sipario stava per levarsi.

Altro grande attore giapponese vivente è Ichikawa Sadanji: commendatore della Corona d’Italia. Egli ha impersonato Mussolini in un lavoro teatrale sul Fascismo, scritto da Kaoru Osanai. Sadanji fa parte del teatro classico, ma assieme a Osanai fondatore del Teatro libero fece le prime prove per dare al Giappone un teatro moderno. Incominciò col rappresentare Gian Gabriele Borkmann che, come tutte le novità, accese gli spiriti della gioventù giapponese. Sul Teatro libero apparvero Bjornson, Shaw, Pirandello, Hauptmann, Cechov, Gorki, Maeterlinck. Le traduzioni e le rappresentazioni si successero vertiginosamente. Quanto l’Europa va creando passa d’un balzo quaggiù. Ma quello che ora avvampa di passione è la produzione russa.

Ginza Owarimachi, 1930

Il piccolo Teatro di Tsukiji

Al Teatro Libero è subentrato ora Il piccolo teatro di Tsukiji. Ma non è che vi si diano soltanto traduzioni. Già fa i suoi primi passi il teatro moderno giapponese. Teatro dove si recita la vita contemporanea con le sue afflizioni e le sue gioie, ma più che mai con le sue afflizioni e queste vengono cercate massimamente nell’ambiente operaio e contadino. Altro aspetto del nuovo teatro è quello di rappresentare sotto forma quasi di rivista avvenimenti importanti del mondo come per esempio: la Rivoluzione fascista, la tragedia del Polo, o la rivolta di Gandhi.

E per essere moderni agli estremi, ecco che proprio nel Teatro Imperiale giorni fa hanno messo in scena con personale giapponese certi balli tipo Moulin Rouge. Il direttore ce ne parlava con l’orgoglio di essere arrivato a competere con Parigi. Ahimè, quale puntiglio scimmiesco e quale orrore!

Sadanji, incontrato in un restaurant, alla cena di ringraziamento offerta al personale della nostra R. Ambasciata per le decorazioni distribuite in seguito alla rappresentazione del lavoro sul Fascismo, dichiarò che suo ideale è sempre stato di poter far conoscere in Europa il teatro classico giapponese, ma le enormi spese di trasporto, — perché la massa d’attori è numerosissima — creano un ostacolo insuperabile. Egli comparve sul teatro la prima volta all’età d’un anno, tra le braccia di suo padre. Mentre si parlava, le giovanissime geishe che ci servivano indugiavano attorno a lui prese nel fascino che ogni grande attore genera nel cuore femminile e arrossivano di gioia come egli faceva loro qualche complimento elogiando a questa il ventaglio, a quella il fermaglio del kimono.

Uscendo, sull’angolo della luminosa ed affollata strada di Ghinza, un ladro, sorpreso dalla polizia mentre rubava da una bancherella qualcosa da mangiare, nell’attraversare la folla si nascondeva il volto con ambe le mani. Questa tragedia della fame e del delitto è quella che oggi ispira i giovani autori del teatro moderno.
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 24/06/1930

Immagine in evidenza: Foto di Bagus Pangestu
Tutte le altre immagini: fonte Wikimedia Commons

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