La situazione politica in Cina è subordinata a innumerevoli fattori, di cui i principali sono: immensità di territorio con difficoltà di comunicazioni, ambizione ed egoismo dei capi, presenza di una gioventù pseudo intellettuale disoccupata, enorme miseria accanto ad enorme ricchezza, gelosia e limitazione di vedute di talune grandi Potenze.
Durante l’Impero venne costruita una via imperiale che da Pechino attraversa tutta la Cina fino alle estreme province del sud; ma questa è una via piuttosto teorica: subito fuori dalla capitale prosegue così stretta da lasciar appena passare una carriola ad una ruota. Le comunicazioni si svolgevano e si svolgono attraverso i grandi fiumi, da occidente ad oriente, e il Grande Canale, da nord a sud, dal Cili al Yang-tse. Altri canali congiungono zone intermedie. Trascurata la manutenzione, attualmente grande parte di essi e parte del Grande Canale sono in secca. Bisogna sempre tener presente che quando si dice: Cina, è come se si dicesse due volte: Europa. Recentemente sono stati costruiti alcuni tronchi stradali, come da Macao a Sian-Kei, da Pechino a Tientsin, da Pechino a Calgan e altri attorno a Nanchino e nel Seciuan, ma sono pallidi segmenti in una terra che ha bisogno di grandi arterie.
Sun-Yat-Sen, all’indomani dall’aver abbattuto la potenza imperiale, comprese che la pace della Cina dipendeva dalle comunicazioni e assunse egli stesso la direzione del Dicastero delle Comunicazioni, ma la grande linea ferroviaria Canton-Han Katt non poté venir effettuata che per un quarto del percorso. Le altre, Han Katt-Pechino, Sciangai-Nanchino-Tientsin, Tientsin-Mukden, vennero costruite con l’aiuto straniero, che vi guadagnò un’alta somma di crediti eternamente insolvibili. Per la Manciuria, invece, Russi e Giapponesi, più esperti i primi per lunga pratica, i secondi per consanguineità coi Cinesi, costruirono e gestirono essi stessi tutta una vasta rete che collega ogni centro. Fare delle lunghe marce per questi soldati cinesi dai piedi sottili, calzati di stoffa, è impresa disastrosa; non è possibile quindi il rapido intervento di armati là dove si verificano torbidi; il trasporto delle merci, sia da esportare che importate, per via d’acqua consente favorevolmente il sopruso dei banditi. Le grandi linee ferroviarie non si possono mantenere in funzione ed altre non se ne possono costruire per mancanza di denaro. In primo luogo un governatore di provincia, dopo sé stesso, deve pensare a pagare il numero immenso di soldati che tiene sotto di sé, per evitare rivolte e defezioni. Ogni provincia (ve ne sono una ventina, e tutte più grandi dell’Italia) è governata da un generale. Parte di costoro ha avuto un’educazione militare in Germania e parte in Giappone; e, più che uno spirito civico, essi hanno appreso quello bellico… Più che la pace e il progresso della propria provincia, essi mirano a raggiungere i massimi gradi del potere. Veri signorotti medioevali, pensano di farsi, a mezzo di armati, una posizione sostenibile e minacciosa e, tra alleanze e guerre tra loro, di accrescere la propria sfera d’influenza.
Attualmente la Cina è divisa cosi: la Manciuria, governata indipendentemente dal giovane e mezzo narcotizzato Cian-So-Liang, figlio di Cian-So-Ling: un Consiglio di generali gli sta al fianco e, sotto la paura d’uno smembramento tra la Russia e il Giappone, che effettivamente hanno già le mani sulla preda a mezzo delle loro ferrovie, forse è la sola provincia dove la vita si svolga con discreta regolarità e sicurezza, garantita anche dalle comunicazioni efficienti. Poi viene il gruppo delle province del nord: Scian-Si e Cili, dove i generali alleati Feng e Yen sono riesciti ad amministrare il loro territorio con buona vigilanza, ma, non contenti degli effetti ottenuti e senza pensare a perfezionarli sempre di più entro al limite delle loro già vaste frontiere, ora stanno in guerra contro Ciang-Kai-Scek, volendo le sue dimissioni da Presidente della Repubblica, sotto accusa di responsabilità del caos generale. Il resto della Cina dipende dal Governo di Nanchino, tolti però il Kuang-Si e l’Honan, che sono nelle mani dei comunisti.
Con questa suddivisione non esiste un erario. Non solo questi Stati separati trattengono per proprio uso il denaro ottenuto dalle imposte e dai dazi, ma gli stessi governatori delle province dipendenti dal Governo di Nanchino, come il Kuang-Tung e il Fukien, non fanno regolarmente affluire alla capitale i proventi fiscali ottenuti nella loro giurisdizione. Nanchino però incassa gli introiti delle dogane di tutta la Cina, essendo queste amministrate dalle grandi Potenze per garanzia dei debiti contratti dalla guerra dei Boxers, e, beninteso, non si cura di renderne partecipi le province avversarie.
D’altra parte la cassa personale dei governatori è confusa con quella della provincia. Essere quindi governatore o presidente della Repubblica è sinonimo di essere più o meno miliardario. Una merce spedita da Sciangai al Seciuan dovrà pagare non solo le innumerevoli taglie imposte dai banditi, ma diversi e svariatissimi dazi delle varie province attraverso cui deve passare, perché ogni generale vuole arricchirsi ed ha obblighi urgenti di carattere militare a cui sottostare. Questi dazi hanno delle voci che apparentemente riescono del più bello senso civico: per la pubblica istruzione, per il miglioramento delle comunicazioni, per soccorrere gli affamati; effettivamente, invece, il ricavato serve a pagare i soldati sui quali il generale regge la propria posizione. Uno dei principali obiettivi della rivoluzione dell’11 era quello di liberarsi dal vampirismo dei mandarini: questo nome venne mutato, ma il sistema rimase.
Parallelamente all’ambizione e all’egoismo dei capi, turba la pace in Cina la resistenza di una gioventù vanagloriosamente bollente e operante. Migliaia di studenti partono ogni anno per le Università d’America, e altrettanti sollecitamente ritornano. A questi vanno aggiunti altri frequentatori delle Università americane e delle scuole protestanti in Cina. In queste Università imparano principalmente molto sport, molto orgoglio, perché l’America allo scopo di crearsi dei futuri acquirenti simpatizzanti fa leva su questo facile sentimento, e sommarie nozioni pratiche collaudate da altisonanti titoli professionali. Costoro, mal visti dai connazionali per il contatto avuto con gli stranieri, vengono a costituire perennemente un pericoloso nucleo di disoccupati pseudo intellettuali.
La mentalità del popolo cinese è generalmente una mentalità da Medioevo. L’autorità imperiale, esercitata sino ad una ventina d’anni fa sotto forma di pressione, di obbedienza assoluta e di terrore, ha atrofizzato per secoli la possibilità di sviluppo d’un senso di reciproca solidarietà. Di qui il concretarsi d’uno spirito individualista, egoistico, con la sola preoccupazione del tornaconto personale appena esteso in vantaggio della propria famiglia, pronto ad apparire in tutte le caste e in ogni attività pubblica o privata. Questa mentalità si è trovata, in breve volgere d’anni, a contatto con quella moderna delle Nazioni democratiche, contemporaneamente all’invasione industriale che è venuta creando in Cina l’elemento operaio. Le idee democratiche, socialiste e comuniste travolgono ad un tempo questi giovani di cosi superficiale cultura.
Il passaggio troppo rapido dalla schiavitù alla libertà ha dato il sangue alla testa. Le parole che rappresentano tali idee volteggiano nell’aria delle discussioni e se si realizzano assumono aspetti incompleti o crudelmente violenti, ma ugualmente inconsistenti come coerenza ideale. Il partito del Kuomintang, sorto come partito democratico repubblicano, attualmente ha assunto le spoglie della tirannia militare.
Il partito comunista, con le sue forze in azione agli ordini del generale Cian-Fat-Wei, governatore del Kuang-Si, non è che un partito di saccheggiatori e di banditi, che, consumata la preda, abbandonano il territorio dissanguato per passare ad altri senza alcuna voglia di costituire uno Stato comunista. Questo si ebbe solo in Canton, sebbene per breve tempo. Dietro alle spalle dei Cinesi c’era però Borodin con grande stato maggiore di ufficiali e di commissari. Un certo Peng-Pai aveva aperto ad Hoifung, ad est di Canton, una scuola comunista. Il Kuang-Tung, abitato da gente animosa, pronta allo slancio politico (è da qui che è partita la rivoluzione dell’11) divampò per i nuovi principi, e Mosca si precipitò a sostenere. Questo esperimento comunista però fallì per opera degli stessi Russi. Vennero distrutti ad un tempo templi buddisti e chiese: i Russi con questo credevano di distruggere il passato regime, come avevano fatto in Russia per quanto sapesse di zarismo. I Cinesi presto s’accorsero che l’aiuto russo finiva per fare del Kuang-Tung una colonia russa e non ne vollero più sapere.
Dai Russi però appresero l’organizzazione militare e anche una certa linea amministrativa, perché Borodin aveva una mano piuttosto stretta. Il movimento comunista, svanito da Canton, passò nella provincia, diventando fortissimo, nel ’28, specialmente nei distretti di Hoifung e di Lukfung, e finì con l’insediarsi nella vicina provincia del Kuang-Si agli ordini del generale Cian-Fat-Wei, quello stesso che ora, approfittando della guerra tra nordisti e Nanchino, si è messo con la sua cosiddetta Armata di Ferro in direzione di Han-kau, sicuro di trovare la zona disarmata. L’idea comunista, che in atto si manifesta col pieno diritto al saccheggio, incontra grande favore nell’immenso numero di uomini che non vogliono ed anche non possono trovare di che vivere col lavoro. D’altra parte la classe capitalistica è pienamente passiva, pronta a subire senza alcuna capacità a difendersi. Solo i contadini, che in massima sono piccoli proprietari, riescono invece a volte a strenuamente difendersi e a respingere gli attacchi di queste bande sedicenti comuniste, munite di bracciali rossi con falce e martello.
Nelle città rimane quindi sempre possibile un capovolgimento della situazione: basta un piccolo nucleo di audaci per avere dei vantaggi e non è da escludersi la partecipazione immediata dei capi pur di salvare la propria posizione. La grande miseria della massa accanto ad un’immediata grande ricchezza e la formazione di nuclei operai in condizioni economiche tutt’altro che soddisfacenti sono altri elementi favorevoli.
A questi vanno ad aggiungersi gli studenti reduci d’America come forza eloquente e frenetica. Costoro, privi d’un senso patriottico e di spirito professionale, ad altro non mirano che al disordine, giacché; come il miserabile sa che da questo trova la via al saccheggio, cosi essi sanno che solo per questo mezzo possono conquistare posti di comando e di arricchimento.
Tutti questi fattori si concatenano in circolo chiuso, creando la presente situazione politica oscurata nel caos. Chi ne soffre sono i contadini, che costituiscono la massima parte del popolo cinese, dissanguati all’estremo, la categoria dei commercianti che si trova in perenne stato di paralisi e contemporaneamente tutti i commercianti stranieri. Se in Cina regnassero l’ordine e la pace, buona parte della crisi mondiale troverebbe qui pronta risoluzione. Ma le grandi Potenze, gelose l’una dell’altra, trascurano di considerare in lontananza che qui ci sarebbe campo d’azione commerciale per tutti senza necessità di accapigliarsi, per mirare invece a più vicine e temporanee realizzazioni ottenute nel continuo scalzarsi a base di intricati compromessi. Per ottenere la pace e l’ordine, la Cina ha bisogno d’una borghesia patriottica a tinta occidentale capace di reagire al malgoverno individuale dei capi, e questa non potrà sorgere che dietro maturazione e risoluzione della crisi spirituale che travaglia questo popolo appena uscito dal Medioevo. Se le grandi Potenze semplicemente si accordassero per -un mantenimento dell’ordine a mezzo d’una organizzazione di pura polizia capace di eliminare il banditismo, già il cielo si rasserenerebbe favorendo più tranquilla atmosfera.
Giovanni Comlsso
da il Corriere della Sera del 10/08/1930
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Pechino – Tramonto sulla Città Proibita (kallgan)
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