Passeggiata cercando un ciabattino

Passeggiata cercando un ciabattino

Firenze, in questa estate iniziale, è in vero come un giglio che si apra. La bellezza delle sue piazze e delle sue strade antiche ha bisogno di questo sole dominante per schiudersi come grandi petali. Adesso si comprende in pieno il valore umano di una fontana adorna di statue e delle nude forme di queste. Nella calda aria appena ventilata dell’Arno risalgono dalla riva fino a correre per la strada i ragazzi seminudi che fanno il bagno e saltano sul muretto come per adornarlo di altre statue. Via Tornabuoni si riconosce sempre per essere una delle più belle strade del mondo, quando si vedono passare due meravigliose straniere, snelle, sottili, ritmiche nel passo, vestite semplicissime, alte alla pari, accoppiate perfette come due cavallini di Fidia. Si capisce che solo in questa strada possono risultare nella loro bellezza, perché è lo sfondo dei palazzi e questa aria che le distacca e le modella imponendo loro la grazia delle donne di Dante.

Firenze – Farmacia del Cinghiale (foto di Sailko, Wikimedia Commons)

Verso l’Arno

La vecchia farmacia inglese sembra un quadro del Longhi con le acciaccose signore anziane d’Inghilterra o d’America che la frequentano adorne di merletti, rilucenti di elaborati fermagli, garrule nel richiedere consigli, altre scendono dalle automobili subito sorrette mentre ti appoggiano al bastoncino d’ebano dal puntale di gomma. Gli inservienti della farmacia le accolgono con la misurata gentilezza dei funzionari della loro terra e l’aria odora di lavanda come se attorno verdeggiassero le montagne della Scozia. Nella grande libreria un vecchio e rispettabile signore, forse uno degli ultimi superstiti dei coscienziosi lettori di un tempo, vuole essere minuziosamente informato sulle novità letterarie. In un negozio d’antiquario qualcuno guarda a una grossa lente un piccolo bronzo.

Ponte alle Grazie

Ma più avanti verso l’Arno ci si accorge della inerzia di questa città: dopo sette anni che è finita la guerra non sono ancora riesciti a ricostruire i ponti distrutti e di là dal fiume le macerie sono ancora intatte nella loro lugubre ironia di parodiare i ruderi romani.
Di qua, tra la Loggia del Porcellino e Ponte Vecchio invece o si sono costruite case ridicole con terrazzini fioriti e finestre da reclusorio oppure da qualche anno si sta ancora lavorando a fondamenta profondissime come se vi dovessero essere elevati vertiginosi grattacieli.
Hanno in vero ragione i soliti oziosi a stare fino dalla mattina presto a spiare tra le fessure delle staccionate per cercare di scoprire quale misterioso lavoro si stia compiendo.

A. Basile – Il ciabattino

Pettegolezzi

Come avessi rovesciato una foglia, dopo i primi impeti d’ebbrezza per questa città mi si rivela tutto un altro aspetto ruvido e triste. La solita tristezza di quest’Italia d’oggi che non si deve fingere di ignorare, ma bisogna avere il coraggio d’esserne consapevoli fino in fondo. Mi si era guastato un sandalo e mi venne indicato un vicolo dove avrei trovato diversi ciabattini. Il primo non vi era, perché era andato all’osteria, il secondo aveva chiuso bottega, perché era andato a pagare le tasse, mi dissero, ma credo volessero dire che era andato a bere anche lui, il terzo era invece al lavoro, subito m’accorsi che era veneto e forse per questo era il solo che lavorasse. Aveva appena preso a riparare il mio sandalo quando sulla porta si fece uno, vestito da militare, che lo pregò di raggiustargli subito la suola che si era slabbrata. Sospese il mio lavoro per fare l’altro e piantati alcuni chiodi gli ridiede la scarpa dicendo il costo della riparazione: trenta lire. Allora quel militare, la cui divisa era stinta e il cui aspetto era goffo, disse che gli costava quasi più la riparazione che le stesse scarpe. Lo riguardai più attentamente: era un capitano e spiegò che quelle scarpe erano di scarto essendo state sabotate dagli operai comunisti che avevano lavorato per il fornitore. E ci fece vedere, subito sopra il tacco, uno sfregio profondo fatto col trincetto. Su di una fornitura di mille paia, ne avevano trovate settanta di guaste. Egli ne aveva comperato un paio, perché si rivendevano a buon prezzo e andavano ugualmente: erano scarpe da soldato e quel capitano andava così con quelle scarpe sfregiate al tallone per quelle strade fiorentine per le quali ricordavo i miei ufficiali di un tempo rilucenti dalla testa agli stivali.

Bernardo Bellotto – La piazza d’Arno, collez. privata (Wikimedia Commons)

Mi consolai col ritrovare alcuni miei amici fiorentini che subito mi raccontarono gli ultimi pettegolezzi, gli ultimi pasticci, gli ultimi scandali. La chiacchiera fiorentina è più vibrante di quella veneziana. A una mostra dedicata al pittore Giorgio Morandi erano stati scoperti cinque quadri falsi che erano stati tra i più ammirati. Appena raggiunto un buon prezzo subito si è falsificata anche la pittura moderna e sembra che sia molto facile. Ma un gruppo di artisti fiorentini è un po’ annuvolato, mi si racconta subito un pasticcio fra i più deliziosi, una vera beffa fiorentina che li ha colpiti. Si sa quanto gli artisti in questa città affaticano per offrire una sigaretta, mentre invece tira da una parte e tira dall’altra sono riesciti tutti a mettere da parte un provvido peculio. Uno di loro fu così abile non solo da accorgersene, mentre noi si credeva vivessero strenuamente alla giornata, ma anche da coinvolgerli in grossi prestiti garantiti dall’amicizia e da manifestazioni di arte che avrebbero sostenuto il loro gruppo. Indubbiamente questo abile amico era il più generoso, il più accogliente, il più sfarzoso della città. Ognuno dei creditori non sapeva dei crediti concessi dagli altri, ognuno taceva per non rivelare col credito concesso le proprie possibilità finanziarie, Infine uno di loro che pretese la restituzione e non l’ottenne diede l’allarme per tutti. Tutto sarà regolato a suo tempo, perché l’amico è leale, ma lo scandalo vero è risultato nella possibilità di fare grossi prestiti da parte di quegli artisti che passavano per poverelli. Giuocare la loro tirchieria è stato un colpo da grande maestro dell’avventura e naturalmente con noi che si viene dal di fuori non ne parlano come di una malattia vergognosa, ma si sente in certi silenti, in certi vaghi dispetti e malinconie tutto il peso del torto subito.

Le tombe etrusche

I miei compagni di viaggio da più ore non fanno che ripetermi che bisogna andare a vedere la mostra dell’architetto americano Wright e io da più ore non faccio che ripetere loro che bisogna invece andare a palazzo Davanzati a vedere le tombe etrusche restaurate a cura del prezioso istituto del restauro presso la direzione generale delle belle arti. Mi vantano le idee naturalistiche e razionali dell’architetto americano e come suo capolavoro la «casa della cascata», cioè alcuni cubi di cemento e di vetro sovrapposti a una cascata in un bosco, ma io contrappongo la fontana di Trevi. Se Firenze onora i giochetti architettonici di questo americano significa che ha smarrito la conoscenza del valore dei propri palazzi umani e sovrumani. Si provi a sostituirli. Siamo dunque giunti a un punto tragico della storia come fu già per i latini, quando più non sapevano avere conoscenza della loro arte, e della loro lingua che aveva risuonato perfetta nelle Georgiche? Entro nelle tombe etrusche restaurate e scopro che le figurazioni delle danze funebri hanno gli stessi motivi ritmici dati dal giuoco delle mani come nelle antiche danze cinesi.
Giovanni Comisso

da la Gazzetta del Popolo del 20/07/51

Immagine in evidenza: Cattedrale di Santa Maria del Fiore (foto di Felix König, Wikimedia Commons)

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