Rileggendo Senofonte

Rileggendo Senofonte

Vi sono libri che possono essere compresi, totalmente compresi, soltanto in determinati periodi della nostra vita. Sono questi libri come frutta che hanno la loro stagione nella quale maturano.

Ricordo di aver letto, nella mia piena giovinezza «L’anabasi» di Senofonte e, sebbene fresco di guerre e di lunghe marce, non mi fece alcuna impressione. Questo libro mi riuscì allora quasi noioso nel ritmo continuo delle parasanghe annoverate. Questo astro non era per me nella sua fase visibile, non era, questo frutto, nella stagione in cui potevo staccarlo dal ramo e assaporarlo. La mia giovinezza e un’esperienza troppo immediata quasi analoga a quella dei diecimila greci, marcianti e combattenti dalla Mesopotamia all’Asia Minore, non potevano farmi comprendere quel libro, troppo recente era per me quello che avevo parimente vissuto.

Liebig card set Grands historiens et episodes de leur vie (fonte: Wikimedia Commons)

I fatti della nostra vita hanno due fasi, quella in cui avvengono, che si può chiamare «cronaca», e quella più lontana, in cui vengono a rivivere in noi attraverso la memoria, e questa fase si può chiamare «storia». Durante la fase della cronaca noi siamo talmente dentro ai fatti che possiamo solo registrare il susseguirsi cronologico di essi e una loro catalogazione elementare, ma nella fase della storia quei fatti assumono altra inqua­dratura ingigantiti dalla fantasia, dalla poesia e dalla penetrazione essenziale di loro stessi, distaccati dal tempo, per diventare quasi siderali.

Busto di Senofonte in marmo bianco conservato alla Bibliotheca Alexandrina

L’esperienza di Senofonte, giovane ancora, marciante con diecimila connazionali mercenari di Ciro al seguito di costui, per andare a detronizzare il fratello, e dopo la battaglia di Cunassa, capo egli stesso di questo esercito per riportarlo in patria, è come una stagione fatale per tantissimi giovani, che si ripete sempre nei secoli. Più volte in ogni secolo, per la gioventù si ripete una simile occasione di essere inconsciamente partiti per una impresa guerriera, sollecitati dal desiderio di vedere nuove terre, nuovi popoli, nuove donne, dalla frenesia di una paga, di un bottino, di poter godere una vittoria per finire col subire una sconfitta e attraversare terre straniere giuocando sempre con le armi e cogli inganni per ritornare salvi alla patria. È un destino che sì ripete sempre.

Quando lessi la prima volta quel libro non lo avevo capito perché ero troppo dentro a fatti uguali, io stesso ero stato come uno dei diecimila greci al seguito di Ciro nell’andare verso la Mesopotamia e al seguito di Senofonte nel discendere verso la patria. Non mi ero guardato allo specchio, ma ora che i fatti della mia giovinezza hanno cominciato già a diventare storia, ora posso capire come è stata, e nello stesso tempo posso capire altra giovinezza simile alla mia.

“Battaglia di Cunassa” di Adrien Guignet (fonte: Wikimedia Commons)

Un esercito di giovanissimi comandati da giovani, insofferenti del vivere pacato nelle loro città, regolato da leggi precise e da una morale soffocante, parte al soldo di un principe araldo, senza ricordare neanche che i suoi avi avevano tentato di sopraffare la loro patria. Lo seguono nella sua impresa per detronizzare il fratello, col puro istinto giovanile di godere una avventura in terre lontane e nuovissime, Coll’uccisione di Ciro, nella battaglia di Cunassa, cade per quei giovani la illusione e si trovano lontani dalla loro patria, circondati dai nemici e privati dei loro capi, ma la giovinezza è ancora in loro sovranamente operante. Senofonte, che non era un vecchio e neanche un uomo estremamente maturo, si mette a capo di loro per ricondurli in patria, in Grecia, in seguito ad un sogno rivelatore. Questo sogno, trovandoci in terra d’Oriente, potrebbe far credere che germogliasse da questa terra perché specializzata in profeti e in messia, ma anche è connaturato con la giovinezza, quando questa si trova in drammatiche situazioni. Ricordo nella mia giovinezza, prima della battaglia di Caporetto, dopo la quale con lunga e avventurosa marcia dovetti ritirarmi dalle Alpi fino alla mia città, che io pure ebbi un sogno nel quale avevo potuto antivedere tutto quanto avrei dovuto sopportare dopo.

Nella marcia di ritorno quell’esercito di giovani avanza sempre rubando, distruggendo, creando inganni, combattendo e lasciandovi quasi sempre in modo stupido la vita. Molte volte le popolazioni sono ostili, ma altre volte sono essi stessi che se le rendono tali uccidendo gli ambasciatori inviati o provocandoli assurdamente. Il buon Senofonte, educato alla scuola di Socrate, si sfiata con ragionati discorsi a indurre quei giovani scalmanati al rispetto delle norme umane, ma se sul momento ne ottiene approvazione, fatto un centinaio di parasanghe, siamo di nuovo come prima. Anzi finiscono, questi giovani, con lo annoiarsi di lui, lo accusano ingratamente di mirare al loro danno lo mettono sott’inchiesta.

Colonne italiane in ritirata da Caporetto poco prima dell’arrivo delle truppe tedesche il 24 ottobre 1917 (fonte: Wikimedia Commons)

L’irrazionalità è continua in questa marcia ed è come il peana di una giovinezza camminante attraverso deserti, attraverso montagne, ora sotto diluvi di pioggia, ora sotto opprimenti nevicate. Ognuno si porta dietro, oltre alle armi, rotoli di tappeti persiani e sacchi di oggetti trafugati e ancora una donna, per ì propri piacevoli istinti. Come uno squarcio nella nebbia del tempo, accennando Senofonte all’impaccio che dava ai suoi soldati questo portarsi dietro robe rubate, ho rivisto, nella mia ritirata, dopo la battaglia di Caporetto, in una valle di quelle montagne, un giovane ufficiale che si portava sulle spalle una cassa contenente una ventina di paia di scarpe di ogni specie, fatte fare dal calzolaio del reggimento, e io stesso che avevo attaccato un mulo fuggiasco a un carrozzino rubato dove caricavo casse di scatole di carne prese ai depositi prima di abbandonarli. Quando poi non se ne ebbero più per mangiare, vennero da me i soldati con un bue preso a una stalla e mi dissero di firmare un buono di requisizione per poterlo subito uccidere e cucinare. Solo ora che la mia giovinezza è entrata nella fase storica ho potuto capire l’«Anabasi», che è una quanto mai vasta documentazione della giovinezza accoppiata alla guerra: situazione quasi sempre fatale per ogni gioventù, nel continuo scorrere dei secoli, e determinata dall’irrazionale che accalora i vent’anni.

Xenephon and the Ten thousand coming in sight of the sea (fonte: Wikimedia Commons)

Quante volte quei greci hanno rubato buoi alle popolazioni attraversate e hanno creduto di sanare il furto, non con un buono di requisizione, ma sacrificando una parte agli dei, auspice Senofonte. Da per tutto ponevano sulla stessa mensa carni d’agnello, di capretto, di porchetto, di vitella, di gallina, con molti pani di frumento e orzo. E quando uno in segno di amicizia voleva brindare ad alcuno, lo trascinava presso la giara su cui doveva curvarsi per bere, sorbendo come un bue. Quella impresa giovanile e guerriera è come tutte le imprese giovanili e guerriere. E lo stupore di Senofonte, quando i suoi soldati lo rimproverano per essere stato severo coi vili, scordando che furono da lui sostenuti nei pericoli e nei tormenti, anche questo ingenuo stupore testimonia la sua illusa giovinezza.
Giovanni Comisso

da il Giornale di Sicilia del 15/04/1961

Immagine in evidenza: Xenophon dictating his history, illustration of A. C. Weatherstone (1888–1929) from Hutchinson’s History of the Nations, 1915 (fonte: Wikimedia Commons)

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