C’è un senso di prodigio nel luogo che ospita la sede di Bosa. L’atmosfera è quella limpida, sospesa della fiabe, tra colline e corsi d’acqua, nel verde che si apre alle costruzioni industriali senza mostrare il volto dell’antropizzazione rapace, come si fosse conservata una certa tenerezza, quel morbido innesto tra natura e azione umana. È qui che risiede il cuore di uno dei laboratori di ceramica più apprezzati al mondo.
Piccole scale conducono a un ambiente pieno di energia e colori. Gli oggetti e i complementi d’arredo rispondono a una palette cromatica che ne valorizza l’aspetto onirico, giocoso, un mix irriverente tra Dadaismo e una certa arte orientale. Alcuni angoli sembrano la trasposizione di un cartone animato, con la luce che si riflette sulle pareti, i giochi di ombre tra una scultura e l’altra, i tavolini di varia altezza, supporti essenziali per quello che, a tutti gli effetti, è un universo felice, di creature e di creazioni.
Italo Bosa e le figlie Francesca e Daniela hanno stampato in volto lo spirito dell’azienda, un sorriso contagioso che sembra la porta d’accesso a un mondo fatto di entusiasmo e sacrificio, di fatica e guizzi artistici. Il tutto sorretto da una grande passione.
Il fondatore, gli occhi vispi di chi non ha mai smesso di cercare nuove strade, di spostare l’asticella un po’ più su, oltre i limiti del già acquisito, ha avviato la produzione ceramica nel 1976, partendo dal garage della propria abitazione. «Fin da bambino lavoravo con l’argilla – racconta – poi a scuola ho avuto un insegnante illuminato, Amedeo Fiorese, che mi ha dato un imprinting artistico, mi ha fatto capire cosa potevo diventare». Ha talento, Bosa, e una forte determinazione, che lo porta a insistere, a sperimentare tutte le fasi e le antiche tecniche di lavorazione atte a dar vita ad oggetti unici, realizzati a mano e dall’impronta innovativa, tra ricercatezza e tradizione.
Punto di riferimento, nel suo primo percorso imprenditoriale, è stata l’azienda Costa di Sergio Campagnolo, a Bassano del Grappa, fondatrice del design sperimentale, stella polare per chi – come lui – ha a cuore l’abilità e l’estro, una miniera cui attingere per realizzare qualcosa di speciale, fuori norma e oltre canone.
«Non basta essere creativi – dichiara Bosa – ma occorre dar vita a un prodotto ben congegnato in ogni suo aspetto». Così, terra, acqua e fuoco rappresentano le componenti basilari del suo lavoro, in grado di unirsi a smalti e vetro per far emergere prodotti riconoscibili, che rispondano al gusto del tempo e all’imperativo del rinnovare conservando, laddove patrimonio e cambiamento costituiscono i tasselli di un processo unitario, costantemente volto alla sorpresa, alla soddisfazione del cliente che è poi, anche, affermazione della propria unicità.
C’è rispetto dell’ambiente in ogni aspetto della produzione, un’attenzione particolare e lodevole alla salute dei lavoratori che maneggiano componenti sicuri, si muovono in un laboratorio provvisto di impianti di aspirazione di ultima generazione che catturano le polveri, depurano l’atmosfera. Una vocazione green, questa di Bosa, che è solo l’ultima manifestazione di una politica aziendale volta al rispetto e all’accoglienza, all’idea che sia necessario guardare al globale – alle urgenze del presente – prima di muoversi in ambito settoriale.
Dotatesi di pannelli fotovoltaici, convinto della necessità di unire verde al verde, affiancando alla natura del luogo la presenza, nel proprio giardino, di alberi come il bagolaro capaci di assorbire grandi quantità di CO2, Italo Bosa conferma la vocazione contemporanea della sua azienda, quell’incessante sperimentazione che, dalla possibilità delle ceramiche, si estende alla riformulazione di consuetudini e idee, alla costruzione di un bagaglio creativo, etico e formale che ha saputo poi trasferire alle figlie Francesca e Daniela, alla moglie e ai suoi collaboratori.
Il rapporto generativo con giovani e promettenti designer ha fatto di Bosa una realtà leader nel campo della sperimentazione, confermandone il carattere coraggioso, a tratti visionario – nel duplice senso immaginifico e idealista – nonché la capacità di fare, del ponte tra generazioni e mondi, un punto di forza del suo marchio. Dall’iniziale collaborazione con Marco Zanuso Jr. e il rapporto con lo studio Palomba Serafini, Bosa ha stretto relazioni professionali con Constance Guisset, Patricia Urquiola, Nika Zupanc, Ionna Vautrin, Pepa Reverter, Marco Morosini, Sam Baron, Luca Nichetto, Jaime Hayon ed Elena Salmistraro, dal linguaggio iper-décor. A lei si deve la realizzazione di due straordinari oggetti da collezione pensati per i novanta anni della Disney, che ha individuato in Bosa il partner ideale per le celebrazioni: Minnie Urban Minerva e Mickey Forever Young.
Salmistraro è anche creatrice del panda Bernando, che insieme al Dab Penguin di Vittorio Gennari segna l’inizio di un progetto interamente dedicato all’ambiente e alla salvaguardia delle specie in pericolo.
Tutto si tiene nell’universo di Bosa, oggi presente in più di cinquanta nazioni al mondo tramite un’accurata politica di marketing e con opere di art design ospitate nei musei internazionali attraverso mostre tematiche, esposizioni temporanee e bookshop.
Ma è ogni oggetto, ogni specifica creazione, l’espressione più viva dell’eccezionalità di Bosa. Dalla pulitura a mano all’essiccazione, dalle diverse cotture agli smalti che permettono la vetrificazione del prodotto – miscelati e composti all’interno del laboratorio e dunque esclusivi, ancora una volta unici – ciascuna fase appare il tassello di un mosaico cangiante, fatto di dedizione e impegno, tecnica e fervore. I lavori, frutto di una manualità esperta che unisce la ricchezza della ceramica, materiale antichissimo e poroso, all’estro delle idee, consolidano un’idea di brand dinamico e multiforme, come dimostra – limitandosi a un solo esempio – la collezione di vasi Primates, ancora firmata da Elena Salmistraro, un’ode quasi irriverente alla somiglianza tra uomo e scimmia, un tentativo di avvicinare, mediante un’oggetto d’arredo, il nostro antenato a un mondo antropizzato, chiamato a evocare – almeno nello spazio intimo della casa – un ritorno alla vita e a uno stato originario.
Impreziositi da inserti in oro, platino o rame, i prodotti Bosa sono dipinti a mano, possono talvolta presentare piccole irregolarità che equivalgono a segni di riconoscimento, spie di un’unicità che si manifesta nelle puntinatura delle superficie, nelle eventuali variazioni di tono. I metalli nobili e preziosi vengono applicati con il pennello, fondono assieme allo smalto nel corso del processo di cottura che garantisce autenticità del materiale e durata nel tempo. Così, superfici lisce come quelle della collezione Hopebird di Jaime Hayon possono presentare variazioni quasi impercettibili di colore, ed è bello lasciarsi stupire da questi segni quando poi si lega il senso dell’opera all’idea stessa del processo creativo: guardare oltre, meravigliarsi del futuro.
È ciò che rivela, come un auspicio, la collezione Sister, cinque vasi in ceramica bianca nati dal guizzo e dalla raffinatezza di Pepa Reverter che ha inteso omaggiare il ruolo e la funzione della donna sull’asse del tempo e dello spazio. Richiamandosi a nomi quali Louise, Frida, Sofia, Helen e Clara, l’artista spagnola immagina un cammino di sorellanza, un mondo a cavallo tra le proiezioni di Ursula K. Le Guin e il Surrealismo di Leonora Carrington e Remedios Varo.
Non c’è orizzonte che l’universo Bosa non possa scorgere. Nessuno spazio inesplorato, nessuna sensibilità inespressa. È anche questo, in fondo, ciò che caratterizza una vera fabbrica della bellezza.
Ginevra Amadio
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