Neanche il Cinema corre forte come la realtà. Intervista a Giovanni Comisso

“Neanche il Cinema corre forte come la realtà”. Intervista a Giovanni Comisso

Non è vero che la letteratura debba imparare dalla cinepresa ad accostare i problemi della nostra mobilissima società – I “Ragazzi di vita” del Testaccio” – La televisione: un formidabile strumento di divulgazione culturale – “Darei il Nobel a Emilio Cecchi e vorrei conoscere Tennessee Williams”

– [Giambattista Vicari]: La letteratura italiana, la narrativa, è in pericolo.
– [Giovanni Comisso]: Meno male che sono arrivato in tempo per essere messo in guardia. E’ grave?

Giovanni Comisso fa finta di abboccare. Gran viaggiatore, scrittore sempre nuovo nonostante che sia stato maestro di diverse generazioni, il più indipendente dei nostri letterati e anche uomo di spirito. Sa stare al gioco, i suoi interventi sono sempre carichi di candore e di arguzia come la sua prosa.

– Vogliamo rimandarla a scuola. Qualcuno ha detto che questi ultimi quindici anni di lavoro narrativo sono stati fallimentari, e che bisogna andare a imparare dal cinema.
– Non è il caso di coinvolgere il cinema. – ribatte Comisso – Direi che questa è l’affermazione di un affossatore.

Mario Soldati, 1954 (Wikimedia Commons)

– Forse è stata fatta soltanto per polemica. Probabilmente questo pubblico accusatore….
– Si aggiorni. E non implichi nelle proprie delusioni personali chi lavora sul serio, un lavoro che ha protagonisti del calibro di un Carlo Emilio Gadda, di un Soldati…
– Di un Comisso.
– Grazie. Perché no? Bisogna pur fare qualche nome.
– Questo mal informato forse intendeva sottolineare così l’impegno tesissimo del nostro cinema nel riprodurre la realtà sociale e umana di oggi. In questa direzione, gli pare che la letteratura batta la fiacca.
– Anche se ci riducessimo a fare verbali, dovremmo sempre fare i conti coi nostri mezzi. Non siamo robots. L’obiettività ha sempre dei margini e delle frange.

Comisso sorride. Non ama le petizioni di principio, e la sua dialettica volge rapidamente dal teorico all’aneddotico.

Eccoti un caso di riproduzione – prosegue – Sere fa, qui a Roma, si era cenare in una trattoria del Testaccio, nella zona del Mattatoio. Intorno a noi, agli altri tavoli, erano i gruppi di giovanotti dal fiero aspetto proletario, di quella schiatta che il cinema non si stanca di illustrare. “Non c’è dubbio che si tratta di macellai autentici”, dissi agli amici che erano con me. Tra gli altri, c’erano Alfredo Mezio e Giulia Massari de Il Mondo. “Andiamoci piano”, – osservarono i miei commensali, che evidentemente sono un poco più romani, cioè più scaltri di me – “Chissà cosa sono, costoro. Forse nessuno di loro ha mai visto negli occhi una vaccina”.
I giovanotti ci stavano alle chiacchiere – seguita Comisso – era <plebe> (meccanici e artigiani del quartiere, senza nessun sangue, neppure animale, nelle mani) che magari aveva fatto le scuole di avviamento o qualcosa di più. Quando tentai i riferimenti grossi, Tesco e altro, non si confusero. La sapevano di fino.

Bernardo Bertolucci (a sinistra) e Pier Paolo Pasolini (fonte: Wikimedia Commons)

– Conoscete Pasolini? – chiesi.
Certamente. È uno scrittore importante.
– E vi soddisfa?
– A me?
– Sicuro, come categoria, come classe.
– Ragazzi di vita, eh? Ci sono anche quelli. Ma sono i meno. I più sono quelli che tirano la carretta, e non se la lasciano tirare dall’amica.
Quando uscimmo – conclude Comisso – noi si salì sulla nostra utilitaria, loro su un razzo di macchina davanti alla quale per noi, professionisti arrivati, c’era da arrossire. Ma era giusto. Lavoravano. Ora, ecco qui. Io li avevo presi per macellai, e macellai non erano. Un altro li prende per ragazzi di vita, e neppure lo sono. Le categorie fisse, i generi umani: forse non c’è niente di meno vero. La realtà è complessa, va più forte perfino dell’occhio fotografico. A parte il fatto che non mi piacerebbe vedere gli scrittori trasformati in occhi fotografici.
– Fa piacere, però, vedere la periferia che comincia a leggere.
– Gli interessi si ampliano, ma nello stesso tempo, proprio adesso, le classi si confondono. È difficile vedere dove e come la cultura si inserisca. E l’evoluzione non è sempre miglioramento. Per ora, vedo molti ex contadini diventare piccolo-borghesi, non perché cominciano a leggere i libri, ma perché conquistano le abitudini più immorali della borghesia.

Andy Warhol (a sinistra) e Tennessee Williams (a destra). Fonte: Wikimedia Commons. Foto di James Kavallines

– Quale è lo scrittore straniero che desidereresti conoscere?
– Tennessee Williams. Mi sto battendo per far pubblicare in Italia i suoi racconti, che a mio parere sono ottimi.
– Hai lavorato, pensi di lavorare per il cinema?
– È stato piuttosto il cinema a lavorare per me, portandomi via trame e soggetti. Ora i produttori si interessano della mia Donna del lago. Ma vado cauto, sono stato scottato.
– Cosa pensi della televisione?
– Uno strumento formidabile. Per quanto riguarda la sua funzione giornalistica, essa sta eliminando la divisione culturale e quindi mentale degli italiani. La vera unità verrà di qui.
– Pensi di collaborare?
– Ho già cominciato. Con Carlo Mazzarella ho fatto per la tv un documentario su Venezia d’inverno.
– Cosa pensi della nostra narrativa più giovane?
– È molto viva. Qualche nome? Eccolo: Parise, Giampiero Bona, Sergio Saviane, che è anche un ottimo giornalista.

Primo piano di Emilio Cecchi (fonte: Wikimedia Commons)

– Tra gli italiani, a chi daresti il premio Nobel?
– A Emilio Cecchi.
– Pensi che sia vantaggiosa, agli effetti del risultato artistico, l’accesa problematicità della più giovane critica letteraria italiana?
– Spesso si tratta di sfoggio culturale. Ma le cose andranno a posto, quando la teoria si sarà articolata nella realtà concreta e non solo velleitaria. Parlo della realtà obiettiva, cioè del paese reale e totale, dell’anima italiana ricomposta e non sezionata. Il recente Congresso europeo di Firenze ha però chiarito molte idee confuse.
– Chiarimento nella confusione?
– Per esempio una cosa. Tanti nostri zelanti giovanotti si sono resi conto che gli scrittori sovietici, al confronto di un certo massimalismo indigeno, sono dei piccoli borghesi proprio di tipo svizzero, al minuto, con tanto di appartamento e frigorifero. Il loro viaggio dalla steppa è stato duro! È risaputo che questi amici sovietici si sono non poco scandalizzati di un certo estremismo perverso che affiora qua e là nel lavoro di alcuni avanguardisti alla moda, letterari e cinematografici. Li considerano dei ragazzi viziati, che perdono di vista troppo facilmente le leggi morali di fondo.
– L’attuale fenomeno di attivismo narrativo non ti sembra un poco inflazionistico?
– Oggi, anche gli scrittori non ancora nati stanno già scrivendo dei romanzi.
-Eppure anche tu partecipi a questo attivismo.
– La critica non mi ha mai voluto considerare come romanziere. Sarei uno scrittore di pagine o tuttalpiù di racconti brevi.
– Ma in effetti credi nel romanzo?
– Ho una certa diffidenza per il romanzo, particolarmente per quello italiano, almeno come genere bloccato. Lo considero valido solo se è frutto di una vera necessità, di un’esperienza vissuta in proprio.

Giovanni Comisso – La donna del lago (Longanesi)

– In effetti, nel tuo ultimo libro, La donna del lago, ci sei dentro non soltanto in prima persona, ma come promotore degli avvenimenti.
– Però è una partecipazione del tutto particolare. Ciò che conta è il mio modo di vedere le cose. Non mi sono limitato ai giochi d’interpretazione psicologica, ma ho spostato la realtà, portandola sul piano dell’allucinazione. L’ho come collaudata in una prospettiva di sogno e anche di un dormire da sveglio. Così ho ristabilito le proporzioni più che se avessi manovrato tutto io.
– Una mediazione onirica, dunque.
– Direi addirittura omerica. Soltanto che Omero porta avanti il personaggio come un essere completo e terreno, e poi via via rivela i suoi contenuti di divinità mascherata, di simbolo e di mito. Io invece procedo su piani paralleli, fondendo realtà e allucinazione. Ho adottato questo mio metodo narrativo perché tendo a scrivere libri che vadano oltre i soliti limiti del mezzo espressivo e della costruzione convenzionali.
– A reinventare sempre la letteratura, dunque.
– Tutti dovremmo farlo.

da la Gazzetta del Popolo del 12/04/1962

Immagine in evidenza: Giovanni Comisso e Mario Soldati

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