Il giorno tale dei tali del mese di maggio l’attrice del cinema Sophia Loren è stata derubata a Londra di tutti i suoi gioielli per un valore di circa trecento milioni. Questa attrice che prima di diventare Sophia Loren era una povera ragazza napoletana, quasi una scugnizza, e si chiamava Scicolone, ne è rimasta esasperata, disperata, profondamente scossa. Ella, da ragazza, aveva conosciuto la miseria, aveva saputo cosa sia non solo non avere gioielli, ma neanche il denaro per comperarsi una catenina d’oro. Col suo lavoro era riuscita a possedere collane di rubini, braccialetti di brillanti, anelli con zaffiri e smeraldi eccetera, ed era così giunta ad adorarli come balsami annientatori della triste giovinezza. Ella credeva nel valore dei suoi gioielli e il suo dolore fu immenso. “Proprio a me hanno voluto fare questo dispetto” gridò femminea e infantile tra le ondate della febbre. E questo suo grido di dolore si diffuse per il mondo fino a una coppia di turisti inglesi in Italia, che vollero scontare l’ebbrezza d’essere nello stesso paese di Sophia Loren, mandandole in compenso un’anfora d’argento.
Sophia Loren credeva tanto al valore dei suoi gioielli che trovandosi appunto a Londra per recitare in un film dal titolo ”La milionaria”, aveva voluto apparirvi in scena con quei gioielli. Nella sua innocenza di ragazza napoletana ella non sapeva che le vere milionarie se comprano gioielli lo fanno per capitalizzare la vile moneta, ma non per indossarli. Neanche i regnanti lo fanno, tranne forse nel giorno dell’incoronazione, e si usa invece indossare le imitazioni dei gioielli veri i quali vengono gelosamente custoditi nei forzieri delle banche.
L’innocente ragazza napoletana credeva non solo nel valore dei suoi gioielli, ma che questo valore potesse risultare tale nella riproduzione cinematografica e che le folle del mondo se ne potessero accorgere e considerarlo invidiosamente. L’innocente attrice cinematografica non conosceva uno dei canoni fondamentali del cinema: cioè che la realtà nel cinema fa meno effetto della falsità. Non sapeva che se si vuole ottenere con grande effetto un bombardamento, è inutile cercare di ritrarlo dal vero, ma è necessario falsificarlo con petardi da fiera di campagna. Tra le apparenze più stupide di questo mondo, per me, non ve n’è maggiore di quella di un negozio di gioielli. Ricorderò sempre, in una sera, mentre sostavo davanti a una gioielleria in rue de la Paix, quando i velluti neri dello sfondo della vetrina si apersero per lasciar passare prima due mani scheletriche e poi il cranio calvo e ossuto del gioielliere che incominciava a ritirare, quasi come un rito, quei gioielli per riporli nella cassaforte.
Sembrava che la morte stessa nell’imminenza della notte si riportasse quelle pietre per illuminare le tenebre del suo regno. Da allora ho sempre dato un valore lugubre e mortuale a quei preziosi. Ma già viene da dubitare che i diamanti, i rubini, gli smeraldi e gli altri tipi della specie siano oggi ancora così rari da considerarli preziosi.
Si pensi, se si dovesse fare un censimento, anche superficiale, delle pietre preziose esistenti soltanto nelle grandi città italiane, quante ne salterebbero fuori. A Venezia, tanto per cominciare, dopo il tesoro di San Marco, dove si è riversato quasi tutto quello di Bisanzio, vi sono i tesori delle dogaresse, quelle tali che D’Annunzio descrive nel “Fuoco” coperte di pietre preziose, strappate dai loro avi ai Turchi, come da pesanti corazze. A Milano e a Torino oltre ai gioielli delle aristocrazie ducali e reali, vi sono quelli delle rispettive potentissime aristocrazie industriali e dei nuovi ricchi che sorgono a ogni stagione subito con la smania d’affermarsi con ornamenti di pietre preziose. A Genova è come a Venezia, con in più un’aristocrazia industriale simile a Milano e a Torino. A Firenze le pietre preziose hanno reso pericolante il Ponte Vecchio, e i tesori Medicei devono essere stati divisi e moltiplicati tra quegli innumerevoli marchesi taccagni che in casa usano le mezze maniche, come gli impiegati postali. Come calcolare le pietre preziose esistenti a Roma nel tesoro di San Pietro, di tutte le sue chiese, di tutta la nobiltà nera e non nera, di tutti i macellai e rivenditori di vaccina e di abbacchio? E a Napoli e a Palermo, con tutti i lasciti borbonici? E coi baroni che si moltiplicano come i conigli? S’è accennato solo alle grandi città, senza calcolare che per tradizione principesca ve ne sono innumerevoli altre di piccole dove i titoli nobiliari devono essere convalidati da gioielli e dove non esistono di quei titoli, bisogna sostituirli con riserve di pietre preziose. Sono città come Bologna, Verona, Vicenza, Mantova, Parma, Modena, Piacenza, Ancona, Pescara e giù di lì.
Ora questo è per l’Italia; si sposti la stessa attenzione per una Francia, una Spagna, un Portogallo, un’Inghilterra che navigarono per lunghi secoli verso le terre dove le pietre preziose, secondo la testimonianza di Voltaire, erano per le strade come i sassi. E poi si faccia il censimento in un’Olanda dove il diffuso riverbero della luce delle sue lagune, favorisce la percezione di quella dei diamanti. E senza sostare in Germania e in Austria, e saltando a piè pari la Russia, si veda cosa ci può essere in Oriente: in Persia, in India, in Cina e poi in Africa, tra quello estratto e ancora da estrarre dalle miniere nauseatamente arcipiene. E non vogliamo pensare all’America coi Rotschild, coi Rockefeller, coi Guggenheim autentici e cogli innumerevoli altri imitati, ma non meno autentici possessori di pietre preziose.
Penso che se si dovessero accumulare tutte queste pietre in commercio o in proprietà ci sarebbe da riempire diversi granai con una densità come per i chicchi di frumento. Questa rarità delle così dette pietre preziose dev’essere con tutta probabilità una montatura abilissima e laboriosissima che sfrutta la buona fede dei semplici di spirito. Queste pietre dovevano essere preziose nelle prime epoche della storia, quando ve n’erano poche, ma da allora in poi traboccano dai forzieri e dalle vetrine dei negozi come le cose più comuni della terra. Credere nelle pietre preziose è un infantilismo e nello stesso tempo un errore di calcolo.
Le vere pietre preziose di Sophia Loren sono state le sue labbra carnose nel sorriso, i suoi occhi rilucenti, le sue forme sinuose e rampanti. Queste almeno hanno avuto il loro attimo. I loro attimi di rarità e sono stati valutati con quei diversi milioni di cui una piccola parte è stata impegnata nei gioielli rubati. Ma anche quei gioielli del corpo hanno la loro illusorietà. Una volta erano autentici ed ora sono falsi. La natura ha il suo giuoco segreto, ma esatto. Le bellezze non sono eterne ed è così che diventano rare e pregiate. Il rapporto tra quegli occhi lucenti e quel sorriso carnoso non è più naturale come anni addietro, ma ricostruito su uno schema che fu naturale. Siamo quindi in pieno regime di gioielli falsi. Il ladro sembra che dapprima avesse avuto interesse a quei gioielli del corpo e che li avesse spiati attraverso un buco fatto nella parete. È stata forse la delusione a spingerlo verso gli altri gioielli che aveva visto riporre nella valigetta di cuoio nero?
Tutto il mondo ha partecipato al dolore di Sophia Loren, solo la Lollobrigida risulta che non abbia fatto alcuna dichiarazione. Tra donne dello stesso mestiere si sa che i successi di una suscitano l’invidia dell’altra e le disgrazie dell’altra suscitano inevitabilmente, per la curiosa meccanicità della psiche, la gioia dell’una. Ma in questo strano mondo d’incredibili sorprese siamo poi certi che si tratti proprio d’una disgrazia?
Girare un film, ”La milionaria”, dove i gioielli hanno una parte importante, necessità per l’attrice Sophia Loren d’imporsi a un pubblico difficile e piuttosto freddo a certe preziosità fisiche, lasciare un patrimonio così ingente incustodito fa tutto pensare a un’abilissima organizzazione reclamistica. Se il furto non è stato organizzato dalla casa cinematografica, risulta però a meraviglia come colpo di richiamo, tanto a meraviglia che quella casa dovrebbe rimborsare alla Loren tutto il valore dei suoi gioielli, e dare un premio a quel ladro che con la sua impresa ha già imposto all’attenzione del mondo un film che sarebbe passato inosservato.
Giovanni Comisso
da L’Espresso n.3 del luglio1960