Luigi Bartolini abita da anni in un palazzone delle Case Popolari di Roma vicino a Monte Mario. Quando andai da lui l’ultima volta, saranno passati dieci anni, tra la sua abitazione e il monte vi era un largo prato. Ora su quel prato la cancrena edilizia romana ha elevato una fungaia di casamenti che non è ancora riescita a nascondergli la vista di Monte Mario, arioso di pini marittimi, e della cupola di San Pietro, che si fa trasparente quando il sole le declina dietro. Però questa vista è possibile soltanto perché egli abita al settimo piano, dove s’è adattato senza ascensore e in poche stanze. Non si lagna del suo destino che è quasi felice. Se di fronte gli hanno eretto una brutta casa egli ha trovato modo di consolarsi guardando nascosto dalle tendine del suo studio la vita degli altri e il loro affacciarsi alle finestre che è stato un motivo importante delle sue prime incisioni. Nel fare le interminabili scale egli trova l’occasione di parlare con gli inquilini che gli vogliono tutti molto bene e che lo considerano, nella sua qualità di artista, come un uomo miracoloso e potente. Contrariamente a una fama idiota fra gli intellettuali. Bartolini, nel suo quartiere, è invece amato veramente da tutti e starei per dire persino dalle piante, dai fiori e dai gatti, che egli riguarda coi suoi occhi fermi e penetranti, pronti sempre a cogliere l’essenza delle cose per ritrarla con la parola poetica o pittorica.
Adesso Bartolini ha ottenuto dalle Case Popolari di occupare una terrazza che era adibita a lavanderia e vi farà la sua officina per le incisioni e tutto un giardino pensile; così nell’appartamento di sotto avrà più spazio. Certo un artista come egli è, giunto oramai a un’età riguardevole, a una rinomanza mondiale, un artista che nonostante la congiura del salotti di Roma e delle cricche letterarie è oggi il più rinascimentale che si abbia, il più completo, il più perfetto nella prosa, nella poesia, nella pittura, dovrebbe meritare altra sistemazione, ma egli non la chiede.
Non si può avere l’idea di come sono sistemate quelle quattro stanze a sua disposizione. Nel visitarle non sono riescito a capire dove egli, la sua Anita e la sua Luciana dormano. Ogni stanza è foderata da grandi scaffali che arrivano fino al soffitto dove stanno libri innumerevoli: davanti agli scaffali stanno panche dove l’artista tiene in una confusione ordinata tutto l’occorrente per incidere, per dipingere. per artigianare; i quadri finiti sono accostati l’uno all’altro dovunque, rendendo angusto il passaggio; i mobili sono resi invisibili da grandi cartelle di incisioni, da fascicoli di manoscritti di libri ancora inediti; un grande schedario annovera tutti i crediti, un altro la corrispondenza: in un angolo vi è tutto l’armamentario per la caccia che nella sua vita è stata la passione ispiratrice di tante poesie, di tanti racconti, di tante incisioni preziose. E su tutto questo rigurgito, come su di una spiaggia dopo un naufragio, spuntano dovunque pezzi d’arte antica, etruschi, romani o greci o popolareschi, che egli ha avidamente collezionato.
Si pensa alla fatica di Anita a togliere la polvere, a mantenere quel disordine che per Bartolini è ordine, e si pensa ancora come egli sia potentemente corazzato contro ogni allergia scatenata dagli acidi, dalle colle, dai colori, dalle carte che invecchiano e respirano con lui. Se non vi fosse la grande luce che proviene dalle finestre di quell’ultimo piano, ogni stanza sarebbe come quelle dei monaci studiosi di Magnasco. Eppure se egli ricerca qualcosa: un libro, un quadro o un’incisione, sa dove mettere le mani e subito li trova.
Opere degne di stare in un museo
La sua vita quotidiana, del resto, non è lontana dalla vita monacale: alle tre del mattino si sveglia e si mette al lavoro secondo l’estro, come cantasse una lode al Signore, e con brevi Intervalli prosegue per tutto il giorno fino a rimettersi a letto alle nove di sera. Pittura, poesia, incisione, prosa, polemica sono le cinque belve maggiori che deve costantemente sfamare attorno a sé; poi lo occupano pure la corrispondenza, le letture, le disposizioni per la casa. Alla domenica mattina non può mancare al mercato di Porta Portese, dove sempre gli accade di scoprire qualche pezzo di valore che viene ad accrescere la sua raccolta d’arte e la confusione delle stanze. Nella sua vita tormentata, sventurata, di continua lotta e di continua creazione egli riesce a essere ancora un artista felice. Gli basta il conforto di quanto egli sa di avere fatto e il calore costante d’affetto di Anita e di sua figlia Luciana, nere entrambe di capelli, viventi sempre, che si muovono attorno a lui con la grazia dei cigni, come scivolando sull’acqua e riguardandolo ripiegando la testa a ogni suo parlare sommesso. Queste due donne gli danno il calore e l’aria, e sono la gioia immediata che gli cancella ogni fatica.
Bartolini è di Cupramontana, Anita è di Osimo, Luciana è nata pure a Osimo, ma oramai, a sedici anni, si considera romana. Seduti a tavola, mentre a ogni vivanda si gusta il sapore della cucina marchigiana, mi accorgo che nel loro parlare non si risente quel chiaro, fluente e italianamente perfetto accento delle Marche. Quell’accento e quell’interloquire che tanto ha giovato a Leopardi. Ho capito che la bella Luciana dà l’intonazione dominante, anche perché è la più loquace, e appena ritornata dalla scuola porta con sé tutta la cadenza e l’irruenza romanesche dei suoi compagni, e così in famiglia tutti si accordano a lei.
Chiedo a Bartolini come abbia raggiunto tanta purezza e bellezza nella costruzione della sua prosa, a dispetto del tramonto attuale della prosa italiana per opera dei giovani masnadieri in cerca di immediatezze dialettali. Egli mi spiega che anzitutto le Marche sono state colonizzate dai Dori, che avevano il linguaggio più puro della Grecia, e su questo substrato non poteva sorgere una parlata italiana secondaria nella pronuncia e nella proprietà delle parole. Da ragazzo non andava d’accordo col padre e quanto più poteva rimaneva fuori di casa rifugiandosi nel convento dei Camaldoli, vicino a Cupramontana, che aveva una bella biblioteca, e si leggeva i classici. Così la naturale disposizione data dalla sua terra era stata da lui sanamente coltivata fino dalla giovinezza ottenendo il risultato ammirevole. Il rigore usato per la prosa è passato nella poesia e da questa nella sua arte di incidere e di dipingere, così che in ogni sua manifestazione vi è la convalida di una genialità omogenea, come una musica accordata tra più strumenti.
A tavola con Bartolini si ricrea quella giovialità e quel sovrapporsi animato e crescente che egli seppe suscitare nel suo famoso e indimenticabile racconto ”A cena con gli storni”. Anita porta le vivande quasi come in una danza, inalberando il suo corpo; Luciana viene bersagliata nelle sue prospettive di eventuali nozze. Noi ingenuamente vogliamo intervenire dicendole di guardarsi dai pretendenti troppo ricchi e troppo romani, suo padre vorrebbe si cercasse un uomo della sua terra, uno di quelli nati vicino alle fonti che ha cantato nelle sue poesie, nelle sue prose, nelle sue incisioni, nei suoi quadri. In quei luoghi dove è sorto il suo amore per Anita. Ma Luciana, a sedici anni, è così saggia da non ascoltarci per seguire soltanto la voce del cuore.
Se si parla di letteratura o di pittura contemporanee, mi accorgo che Bartolini, così feroce nelle sue polemiche, è sempre acutamente sezionatore, ma è molto più generoso, più accondiscendente di me. Tutti quelli che dovrebbero essere suoi nemici infine sono da lui o compatiti o giustificati. E se dice atroci verità su di un poeta contemporaneo, mi accorgo poi che amorosamente ha messo sottovetro una lettera affettuosa di quello assieme a sue fotografie giovanili. La sua pittura non può andare d’accordo con quella di De Chirico, ma infine dichiara che tutta la polemica di questo pittore è esatta. Ricordo che pure avendo subìto, al tempo del fascismo, l’arresto, il confino e la dispersione di suoi manoscritti, e delle lastre delle sue Incisioni più belle, un giorno trovandosi a narrare una cerimonia a cui partecipavano alcuni gerarchi, egli giunse a scoprire che la testa di uno di costoro era modellata come quella di certi frati giotteschi. L’osservazione artistica era esatta ed egli come artista non poteva dire diversamente anche se quella testa gli era stata nemica. Questo avviene in lui perché al di sopra delle passionalità, del tumulto degli istinti, vive nella grande perdonanza dell’arte che sta altissima. Quando veniamo alla torta, Anita taglia grosse fette come si fosse a un banchetto nuziale e la mia sono costretto a dividerla con Luciana.
Passiamo in un’altra stanza, vi scopro una poltrona e mi siedo. Voglio rivedere le sue incisioni. Egli prende una grande cartella e comincia a passarmele rapidamente. Non è possibile rivedere queste opere così, alla svelta, ognuna ha un suo filo di narrazione tra figure di donne ricurve nel lavare alla fonte, distese sull’erba, riguardanti alla finestra, tra le erbe fiorite, i coleotteri, le conchiglie. il martin pescatore, le piante grasse. Tutta la grafia incisiva che Bartolini da anni ci ha Insegnato ad amare scorre davanti ai miei occhi come le rapide acque del Passirio, il torrente degli amori con Anna Stickler, come il tempo che ci circonda e ci sospinge. È la grande epica di Bartolini che rivedo nelle edizioni più rare e che non dovrebbe stare in quella cartella nel confuso di quella stanza, ma esposta in una grande sala a lui dedicata di un museo o di una galleria d’arte moderna. Devo pregare Bartolini di fermarsi, mi ha passato un’incisione che non conoscevo, che non avevo mai visto: vi è un fiume, un ponte, dei tralicci in legno, contro luce, una figura si spoglia per fare il bagno, altre più piccole sono lontano già vicino alle acque. Il sole, l’estate piena è nell’aria e nella vegetazione delle rive, e gli esseri umani nei loro corpi nudi sono anime o forse soltanto libellule estasiate.
Passiamo in un’altra stanza, dove vi è una piccola scrivania che sotto la valanga di carte mi sembra settecentesca: è qui dove egli scrive, e riprendiamo a parlare della letteratura del nostro tempo. Noi non slamo quei facili denigratori che appena sapendo balbettare l’italiano, quegli innovatori della narrativa che continuando a usare la locuzione scolastica “strada facendo”, strombettano che D’Annunzio è stato una nullità. Siamo d’accordo che un uomo come lui non si ripete facilmente in un secolo e che ha tentato nobilmente di dare un’unità nazionale alla nostra prosa, fuori dai regionalismi e dallo stile professorale.
I complottanti salotti letterari
Poi un nome ci viene contemporaneamente alle labbra: Bruno Barilli. Entrambi riconosciamo il suo valore e come sia già dimenticato e come la sua opera sia stata dispersa in edizioni quasi clandestine. Da qui si passa a constatare che Milano è riescita a costituire una società editoriale, ma questa non riesce a portare una chiarificazione dei valori, mischiando buoni e scadenti, per non volere ammettere il severo controllo di competenti comitati di lettura. Inquanto a Roma, questa città ha veramente una società letteraria, come non l’ebbe mai tanto attiva, ma tutta formata di complottanti salotti che senza intendere pretendono. come al tempo di Leopardi, “di arrivare all’immortalità in carrozza, come i cattivi cristiani al paradiso”.
Bartolini parla sempre sommesso e preciso e in fine mi viene da constatare che per lui è necessario, più che dare altre opere, riordinare editorialmente tutto quanto ha pubblicato ai quattro venti e quanto ancora gli rimane di inedito, perché l’Italia è un Paese distratto e facilissimo a dimenticare.
Il giorno dopo mi trovavo al Circeo, in una trattoria sul mare, accanto a me a una tavola vi erano tre loschi individui, forse falsificatori d’olio arricchiti, con tre donnette d’occasione, che senza riguardo per i vicini non parlavano tra loro, ma gridavano, urlavano, superando il mare in tumulto, come nella volgarissima letteratura, a cui ci ha abituato il cinema Italiano associato ai nuovi scrittori nazionali; e mi apparvero una rappresentazione simbolica del nostro tempo, mentre mi figuravo di riescire in vano ad afferrare le abituali parole sommesse e precise di Bartolini, se egli fosse stato seduto accanto a me alla stessa tavola.
Giovanni Comisso
Immagine in evidenza: Luigi Bartolini – Abbracciati lungo il fiume, 1934
Tutte le immagini delle opere: fonte luigibartolini.com
da Settimo Giorno, 1960