Il rifugio veneziano di Peggy Guggenheim

Il rifugio veneziano di Peggy Guggenheim

La miliardaria americana ha raccolto, sul Canal Grande, i tesori dell’arte moderna.

Ho ritrovato la mia amica Peggy Guggenheim. Era ad attendermi all’imbarcadero del Piazzale Roma con la sua gondola decorata di divinità marine impugnanti folgori e tridenti. L’ultima volta che l’avevo vista era rossa di capelli, ora invece di ritorno dal Messico è bionda come il frumento e stentavo a riconoscerla. Dovendo parlare di lei è inutile cercare di inquadrarla nella storia, bisogna dire tutto di fantasia, perché ella ama e vive nella fantasia. Inutile chiederle se è parente di quel Guggenheim che pubblicò un grosso trattato sulle cornici o se è parente di quell’altro Guggenheim che nell’affondamento del “Titanic” preferì morire in abito da sera piuttosto che deturpato dal salvagente. Ella è semplicemente Peggy ed abita a Venezia sul Canal Grande nel Palazzo Venier dei Leoni rimasto incompiuto. Ma è meglio dire come credono i suoi amici americani che sia stata lei a farvi demolire i piani superiori per ridursi ad abitare solo quello terreno, semplificando così i servizi. I suoi gondolieri dalle sciarpe con frange d’argento manovrano i remi come fossero penne di struzzo.

La Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia. © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Photo Matteo De Fina

Eppure un poco di storia bisogna farla. Nel 1938 era a Londra e annoiata dal divorzio decise di aprire una galleria d’arte moderna chiamata ”Guggenheim-jeune” dove espose le opere di Kandinsky, di Arp e di Tanguy e di altri surrealisti e astrattisti. Le difficoltà non furono poche incominciando dalle dogane inglesi che non volevano permettere l’importazione dell’arte astratta, perché non era considerata arte. Inoltre nell’imminenza della guerra vi erano ben pochi che volessero fare acquisto di quelle opere. Peggy per incoraggiare quegli artisti comperò alcune delle loro opere e si trasferì a Parigi mentre i tedeschi già minacciavano la linea Maginot. A Parigi aveva accresciuto la collezione comperando altre opere a prezzo di liquidazione nell’imminenza del crollo. Ella puntava oramai decisamente, con lo stile dei grandi uomini d’affari della famiglia Guggenheim, su quest’arte nuova anche se tutto il mondo minacciava di affondare. Hitler avanzava inesorabile come un iceberg. Fu allora che ella sì trovò a errabondare per la Francia seguita sempre dalla sua collezione. Da Parigi fuggì a Vichy, a Grenoble. Trovato a peso d’oro un furgone e con altrettanto peso d’oro il carburante necessario riuscì ad arrivare a Lisbona e a imbarcarsi per l’America. Arrivata a Nuova York, nel 1942, nonostante la guerra aperse una galleria chiamata: Art of this Century aiutata da André Breton da Frederich Kiesler il quale in mancanza di cornici ai quadri risolse l’inquadratura con pareti dì sfondo ricurve di legno di eucalipto. Fu In questa galleria che Peggy rivelò e lanciò tutta la scuola attuale di pittori e di scultori americani. Finita la guerra ella venne a Venezia con la sua collezione che si era arricchita di nuove opere come un roseto a maggio sempre di nuove rose. Nel 1948 fu invitata ad esporre la sua collezione alla Biennale; alla inaugurazione del suo padiglione il presidente Einaudi era assai stanco, perché vi arrivò dopo avere visitato tutti gli altri, egli credeva si trattasse di una pittrice, l’equivoco fu subito chiarito e tutto si risolse con una fotografia di Einaudi e di Peggy sotto a una composizione movibile di Calder.

Peggy Guggenheim sugli scalini della terrazza in occasione della prima mostra a Palazzo Venier dei Leoni, – Foto Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia

A parte ogni discussione su questa arte amata da Peggy e che va dal futurismo di Boccioni, di Trampolini, di Balla, dalla pittura metafisica di De Chirico, dal surrealismo Dalì, di Delvaux a Max Ernst, a Hirshfield, a Tanguy, a Cocteau, a Chagall, a Braque, ad Arp, a Kandinsky, a Picasso, a Klee, a Leger, a Marini, a Miro, a Mondrian, a Moore, a Picabia, a Ozenfant, a Severlnl, bisogna riconoscere che questa collezione è una documentazione di un fatto oramai storico dell’arte, della massima importanza. Ed è di grandissima portanza che Peggy Guggenheim abbia scelto Venezia per ambientare tale documentazione. Tutto quanto viene perfettamente documentato serve per la storia e per giudicare le epoche e il pensiero. Certamente questo palazzo veneziano incompiuto ha un costante destino nel corso dei secoli. I Venier che lo iniziarono non lo terminarono per mancanza di denari tanto per stupire la chiacchiera maldicente veneziana, fecero del magnifico giardino un luogo di ricevimento estivo animato da due leoni in gabbia in onore di San Marco; quando al principio di questo secolo vi venne ad abitare la istrionica marchesa Casati ella vi tenne per la casa una pantera; ora Peggy Guggenheim vi tiene invece un nobile branco di cani pechinesi e se non bastano vi è tuttala feroce e selvaggia schiera delle opere della sua galleria che a volte, specie nelle sculture e nei ferri battuti, fa pensare a scheletri di animali preistorici.

Peggy Guggenheim nella biblioteca di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, fine anni ’60. Foto Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia, Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

Adesso Peggy è particolarmente contenta perché ha sistemato gran parte della sua collezione nella barchessa che è attigua al palazzo tra le ombre del giardino. Mi chiede se barchessa significa luogo dove vi si tenevano le barche, le spiego che barchessa o barco derivano da una corruzione di parco ed erano edifici situati appunto nel parco della villa, dove vi si mettevano le carrozze e dove erano le scuderie. Certo, in un palazzo veneziano sul Canal Grande non si potrebbe parlare di barchesse, ma per estensione significa adiacenza: dependance. Questa parola la illumina. Una luce da acquario illumina le salette bianche e i quadri appesi sembrano meduse fosforescenti o polipi aggrovigliati. Davanti al quadro di Dalì Nascita di desideri liquidi, osservando un punto particolarmente osceno, mi accorgo che qualcosa di ossessivo è penetrato in me. Mi accorgo che qualche disarmonia mi ha preso come un virus. Non mi sento corazzato contro quest’arte inquietante e desidero uscire all’aperto. Ritorniamo nella casa dove vedo che i quadri dei futuristi hanno acquistato una patina come fossero quadri del cinquecento. Certo che gli autori di molte di queste opere sono nati nel principio della seconda metà dell’Ottocento. Kandinsky che è del1866 è contemporaneo di Turgenev e della narrativa realistica russa. Ha ragione Peggy di non fare della storia; fare della storia significa misurare il tempo e questa fatica è sempre un tempo perduto. Meglio restare nella fantasia e perché no nell’astratto, nel surreale?

© Peggy Guggenheim Collection. Photo Matteo De Fina

In previsione di morire ella mi parla della sua preoccupazione per il destino della sua collezione. Musei d’arte di tutto il mondo ambiscono ad averla, ma ella vuole favorire Venezia, la città che tanto ama, ma non sa ancora decidersi in quale modo, con quale formula. Le racconto le vicende della collezione d’arte orientale del Duca di Bardi: la offerse al Municipio di Venezia, ma allora, prima della grande guerra, nessuno ne capiva qualcosa di Utamaro e di Korin e non ne vollero sapere. Venduta a un antiquario austriaco, scoppiò la guerra e fu sequestrata come preda bellica e affidata all’Associazione dei Combattenti, che di arte orientale ne capiva anche poco. Da qui passò fatalmente al Municipio che la tiene relegata all’ultimo plano di Palazzo Pesaro. È un fatto che deve ammonirla, se proprio vuole pensare alla morte; ne faccia pure un dono a Venezia. dove per alcuni mesi all’anno tutto il mondo fa il suo turno di passaggio. ma stia bene attenta a chi dovrà affidare il suo tesoro.

Peggy Guggenheim nella sala da pranzo di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’60. Da sinistra: Vasily Kandinsky, Paesaggio con macchie rosse, n. 2 (Landschaft mit roten Flecken, Nr. 2, 1913); Georges Braque, Il clarinetto (La Clarinette, estate autunno 1912); Giacomo Balla, Velocità astratta + rumore, 1913–14; Louis Marcoussis, L’Habitué (1920); Umberto Boccioni, Dinamismo di un cavallo in corsa + case (1914–15); Albert Gleizes, Donna con animali (Madame Raymond Duchamp-Villon) (La Dame aux bêtes [Madame Raymond Duchamp-Villon]), terminato nel febbraio 1914; tutte le opere sono in Collezione Peggy Guggenheim. Foto Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia, Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.

Per non parlare di storia slamo finiti col parlare di morte e diamo subito una fiera sterzata di timone. Ella mi vuole far vedere la sua stanza da letto. Trovo non strano, ma assai poco decorativo che abbia appeso alle pareti direttamente, come quadri, un’altra sua collezione, quella dei suoi grandi orecchini e glielo dico. Ma ella risponde fieramente che i suoi orecchini sono in vero dei quadri, difatti ve ne è un paio con paesaggi surrealisti di Tanguy. Poi mi Indica la testiera del suo ampio letto come una delle sue maggiori ambizioni. La testiera luccica di scherzi e di filigrane di vari metalli, come un sogno tracciato con la punta di un pattino d’acciaio sul ghiaccio. Ella mi dice: «Quasi tutte le donne a Nuova York che amano l’arte moderna portano un anello o un braccialetto o una spilla fatti da Calder, che le regala o vende a prezzi altissimi. Io sono la sola donna che porta suoi orecchini e un letto fatto da lui». Vedo gli orecchini appesi alla parete accanto a quelli di Tanguy e osservo la testiera del letto. Ancora mi sento travolgere da qualcosa di oscuro, come da una vertigine.

Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ʼ60. Alla parete, Tancredi Parmeggiani, Composizione (1957), Collezione Peggy Guggenheim. Foto Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia, Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.

È meglio uscire, le dico che qualcosa mi stordisce come un’afa, allora ella propone di accompagnarmi col motoscafo fino a Piazzale Roma. All’imbarcadero del palazzo il motoscafo è già pronto, è simile a una ciabatta preziosa di cuoio giallo. È scoperto, senza, alcun riparo dal vento e dalla pioggia, appena nel canale della Giudecca fugge via sbattendo orribilmente sulle onde. Ella è felice come una ragazza, dice che sembra di essere a cavallo. La giornata è livida, correre su questa ciabatta non dà alcuna gioia, posso sopportare tutta l’arte astratta della collezione della mia amica Peggy, ma l’astrattismo del suo motoscafo mi fa diventare un ribelle. Io amo la gondola e. forse, anche il chiaro di luna.

Giovanni Comisso

da “Settimo Giorno” del 15 ottobre 1959

Immagine in evidenza: Peggy Guggenheim con i suoi terrier Lhasa Apsos sulla terrazza di Palazzo Venier dei Leoni prospiciente il Canal Grande, Venezia, anni ’60. Foto Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia, Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005. (part.)

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