L’estate si avvicina e arriva aprendo fiori dovunque e disseminando il verde dell’erba in ogni angolo con la velocità delle macchine. Si prova un’angoscia più forte di quando si avvicina l’inverno, perché allora si sapeva che quella stagione sarebbe stata lunga, mentre l’estate è ogni anno più breve e fuggente. Il tempo ha una sua volontà che è come un peso atmosferico immanente fino a determinare la caduta di una foglia, l’aprirsi di un fiore, il fermarsi di un pensiero umano: un atto, un creare, un nascere e un morire.
Il Discobulo piaceva a Cicerone per il suo gusto di ricco borghese e di grecofilo, perché quella statua coglieva e stabilizzava un attimo fuggente dell’equilibrio del corpo umano. Era come la sorpresa di fare vedere con il rallentatore un movimento inavvertibile, eppure quel corpo di atleta è andato in frantumi, sia il modello che l’opera. Andare al circo equestre mi dà fastidio immenso non soltanto per vedere i leoni obbligati a sedersi sugli sgabelli per fare quello che ordina il domatore a colpi di frusta, ma anche per l’apparire degli acrobati che si equilibrano sul trapezio mossi dalla perfezione dei propri muscoli come per la sicurezza di una molla e poi ritornano a terra con un piccolo salto dischiudendo le braccia per fare vedere di essere ancora intatti.
Preferisco i nani deformi, eppure così allegri da rendere felici gli spettatori crudeli. L’acrobata sano e perfetto è una emanazione di tristezza e pare voglia mettere quegli stessi spettatori nel brivido per una sua caduta portando la sua perfezione nello schianto, nella vanità e nella morte.
A ogni mattina altri alberi da frutta dischiudono i loro fiori risultando come ventagli variopinti che si aprono al sole e al tepore crescente. La volontà dell’estate segue il suo ordine secondo il comando dell’universo inflessibile che ci circonda. Tutto era già stato capito dagli umili che avevano condensato la verità in poche parole: «Non cade foglia che Dio non voglia».
Questo corpo umano tanto prezioso è assolutamente un condensato dell’universo e le sue volontà sono nello stesso universo. Le ultime modellazioni partono dalla preistoria: cataclismi, lotta per la vita, carestie, inondazioni, la glaciazione e il diluvio hanno messo alla prova il suo sangue. È un sangue che rende ridicole tutte le medicine. Dopo le erbe l’uomo ha capito che i metalli possono sanare le sue piaghe, ma egli stesso è solo una piaga aperta alle prove e alle controprove per farne una statua precaria creduta invulnerabile.
L’ideale dell’uomo è la statua, essere una statua per sempre. L’imbalsamazione era un compromesso con la realtà ed era troppo poco. Tutti gli uomini che ritengano di avere avuto una volontà potente nel determinare rivolte e capovolgimenti hanno desiderato essere impersonati nel futuro da una statua che sia nello stesso tempo testimonianza e apoteosi. Con essa cercano di superare il destino della putrefazione, della cenere e della dimenticanza. È impossibile volere quello che non è concesso di volere, le più grandi volontà, non superano quella della foglia che cade.
Una valanga di formiche che marcia incolonnata in un bosco per andare a strappare una fibra alla volta di una quercia secolare per farla precipitare esausta, è una grande volontà dell’universo. La quercia non ha difesa, non ha volontà di reagire, ha solo una volontà di scomparire, di morire. Anche la piastrella che si inserisce tra altre per formare un pavimento ha la sua volontà, una volontà geometrica. E noi siamo sempre una piastrella con la nostra volontà geometrica. Ma chiara è la volontà delle carte da gioco che si mischiano e si distribuiscono per un solitario o per un gioco da diletto o d’azzardo. Il giocatore è sempre sottomesso alla loro volontà ed egli potrebbe avere quella di smettere o di continuare vendendo l’anima al demonio. Infine l’uomo ha la minore capacità di volere degli altri esseri animali perché almeno questi hanno quella fortificata dall’istinto.
I giorni, le stagioni, gli anni fanno presto a passare per la vita di un uomo e sono mossi da una macchina che si determina nella lancetta di un orologio o nell’ordine scritto di un calendario. L’uomo muore come la quercia abbattuta dalla valanga delle formiche, ma non è l’uomo che muore bensì l’universo in lui determinato. L’atmosfera storica e quella preistorica che lo plasmarono prima di nascere hanno perduto la loro consistenza setosa per protrarre il filo che deve tramutarsi in bozzolo. Noi parliamo, scriviamo, operiamo e si lotta: la lotta non è altro che la ricerca del complesso di punti d’appoggio per reggere e stabilire il serico bozzolo della vita.
Nella mia esperienza dello scrivere mi sono accorto che un certo momento di una certa giornata bastava avere la pagina bianca e una penna, per scrivere quello che non avevo pensato di scrivere, che non avevo voluto scrivere, ma era la bava serica che usciva da sola e si solidificava sulla pagina. Il sangue batte alle tempie per i colpi di spada che risuonano nella lotta. Si soffre a ogni colpo, perché il bozzolo non sarà mai compiuto e inalterabile.
Siamo i peggiori degli esseri viventi; anche se la vita ci chiudesse nella sicurezza inalterabile, la sofferenza finirebbe per essere data dalla noia. Dobbiamo riempire una botte senza fondo e siamo ancora degli schiavi. Allora si arriva al compromesso di dare la volontà a un tiranno per compiere poi il gioco di liberarcene. Parla la storia. Bruto scrive a Cicerone: «In verità questa debolezza e disperazione di cui non è maggiore in te la colpa che in tutti gli altri, spinse Cesare alla cupidità del regno». Volere è una presunzione di capire e siccome siamo nella possibilità di capire solo relativamente, la nostra volontà è relativa: una collana di perle giapponesi.
Giovanni Comisso
da La Nazione del 16/05/1966
Immagine in evidenza: Paolo_Monti – Servizio fotografico Roma, 1969 (Wikimedia Commons)