A chi cammina con la testa e gli occhi aperti i sentieri parlano. Percorrendo quelli sui pascoli della mia famiglia, a Cesuna di Roana sull’Altopiano dei Sette Comuni, li ho ascoltati raccontare di Giovanni Comisso, che qui agli inizi degli anni ’40 ha trascorso ore decameroniane e tragiche, passando dall’ebbrezza dionisiaca alla cupa disperazione. «Altra terra che attraverso il suo paesaggio mi ha dato il senso del peso del tempo, del tempo della preistoria che vi à impresso il suo marchio, è la terra dell’Altopiano di Asiago» (“Veneto felice”, a cura di Nico Naldini, edizioni Longanesi, pagina 10/11).
A Cesuna Comisso era ospite dell’amico pittore Renato Peretti a Villa Ercego, costruita agli inizi del ‘900 da Ilario Ercego, un illuminato imprenditore di Padova originario di Recoaro per le vacanze di famiglia. Nella sua fase decadente è diventata teatro di feste e svaghi sfrenati, gli abitanti del villaggio la ricordano ancora. Come Roberto Ambrosini Bres, nipote dei custodi della villa, che da bambino posava per Peretti: «naltri tusi se metevino a galopa del can lupo e el ne toleva zo co la pitura e el ne faseva vigner fora uguali», e il signor Ercego passando di là si raccomandava «boce vardè e tasì». Nel 1943 è stata acquistata dalla diocesi di Padova, rinominata Villa Tabor e come per contrappasso destinata a ritiri spirituali. Oggi è gestita dalle Figlie di Maria Ausiliatrice e, allargata a mo’ di albergo e affiancata da una capiente chiesa, è diventata una Casa per Ferie dove potersi rigenerare, lontano dalla frenesia del vivere quotidiano. Una frenesia di vivere e viaggiare che invece ha caratterizzato l’esistenza dell’autore trevigiano e che traspare in tutte le sue opere.
Comisso è arrivato a Villa Ercego accompagnato dal giovane pupillo Guido Bottegal, da lui appellato “poeta fuggitivo”, entrato prepotentemente nella sua vita sentimentale alla fine dell’estate 1940, appena sedicenne. Nell’autunno del 1941 la prima visita a Cesuna, «il posto ci piacque moltissimo…rimanemmo alcuni giorni ebbri di capovolgere tutte le ore abituali», ha scritto Comisso in “Le mie Stagioni” (Opere, edizione Mondadori 2002, pg.1338). Ha ritrovato la stessa ebbrezza nell’autunno del ’42 in occasione del secondo soggiorno, «si faceva all’amore, si mangiava, si ballava, i giorni passavano dolcissimi e giù sulla pianura si intendevano i rombi dei primi bombardamenti aerei sulle città dell’alta Italia, la guerra era per noi come su di un altro mondo» (ibidem, pg. 1346). Ma la realtà non ha tardato a presentare il conto e già quando Comisso e Bottegal sono risaliti qualche mese più tardi per trascorrere un periodo di vacanza sulla neve, l’idillio ha mostrato le prime crepe, «dove l’ultima volta avevo passato giorni miracolosi fui invece tormentato da inquietudine esasperante» (ibidem, pag. 1349). Mentre Guido, imparato in fretta a sciare, si lanciava spericolato con gruppi di coetanei giù per i pendii dello Zovetto, Comisso se ne andava «seguendo le peste delle volpi in luoghi solitari» (ibidem, pg. 1349): il paesaggio stesso è stato testimone e scenario della imminente rottura e anche del tragico epilogo.
Nell’autunno del ’44 Guido è finito nelle carceri di Santa Maria Maggiore a Venezia, dopo che una sua lettera dai toni dichiaratamente antifascisti è stata intercettata dalla censura, «una lettera strampalata mezza rivoluzionaria a quel tale padrone del negozio di biciclette dove aveva lavorato e la spedisce per posta con tanto di indirizzo suo chiaro dietro», ha raccontato Comisso in una missiva al fascista Sandro Pozzi, già con lui nell’impresa di Fiume, per evidenziare l’atteggiamento imprudente e sprovveduto di Guido. (Archivio storico, Museo Bailo).
Per sei mesi Comisso è andato avanti e indietro da Venezia cercando appoggi per farlo li berare tra le sue molte conoscenze. Uscito dal carcere Guido si è arruolato nella Marina a Brescia, ma ha disertato quasi subito, quindi Comisso gli ha consigliato di salire a Cesuna e impiegarsi nell’organizzazione tedesca della Todt come tagliaboschi. È stato ospitato da Renato Peretti che con la madre Maria Ercego si era trasferito nella casa dei Longagna dopo la vendita della Villa di famiglia. Durante un rastrellamento della Mas Guido è stato riconosciuto come disertore e incarcerato a Montecchio Maggiore con altri sospetti partigiani. Da qui è cominciato un carosello di errori ed equivoci. Peretti ha finto di promettere ai fascisti di consegnare alcuni partigiani in cambio della liberazione di Guido, in realtà si era accordato con i partigiani stessi perché inscenassero una sparatoria a dimostrazione della sua buona fede. Ma in entrambe le occasioni la messinscena è fallita, una volta perché non si sono presentati i partigiani, l’altra perché hanno mancato l’appuntamento i fascisti. Le insistenti pretese di Peretti perché liberassero comunque l’amico hanno insinuato tra questi ultimi il sospetto del doppio gioco, mettendolo in cattiva luce tanto che è stato arrestato. Quando Guido è stato liberato dopo pochi giorni, si è invece insinuata tra i partigiani la certezza che il ragazzo fosse una spia, visto che gli altri arrestati sono rimasti in carcere, ma soprattutto perché a farlo liberare è intervenuto Armando Toniolo, figlio di un noto colonnello fascista, commerciante di legname, spesso ospite in casa Peretti. Il 17 marzo, appena uscito dal carcere, Guido è salito a Cesuna ed è passato da Maria Ercego.
«Guido venne quassù per regolare la sua posizione con la Todt, incassare cioè lo stipendio, prendere le sue cose, scendere poi e presentarsi a Conegliano. Questo il suo programma approvato dalle autorità. Sabato pomeriggio mi chiese i vestiti di Renato ed in prestito la mia bicicletta per fare un salto a Treschè a ritirare lo stipendio. Diceva di abbisognare della bicicletta per un po’, perché gli doleva una gamba, che si era ferita il giorno prima, saltando da una finestra di via Pigafetta, per allenarsi a fare il paracadutista! Prese con sé anche il cane. Da allora è sparito, con cane, bicicletta, lasciando aperta la casa della Milani di cui egli aveva avuto le chiavi, lasciando aperto il rubinetto dell’acqua… Che non è da lui?» (ibidem), ha scritto Maria a Comisso il 25 marzo, ancora all’oscuro dei fatti.
Uscito dagli uffici della Todt situati a Villa Lanerossi, già colonia alpina del Lanificio, secondo la ricostruzione del fratello il giovane è stato avvicinato dal commissario partigiano Renzo Ghiotto “Tempesta”, che accompagnatolo fino alla chiesetta di San Rocco, gli ha puntato la pistola contro conducendolo poi al comando partigiano nei pressi di Malga Colpi-Mosele. Dal canto suo “Tempesta” ha sempre affermato di essere arrivato all’accampamento a processo già in corso e di non averne avuto alcuna parte in quanto il comandante Giovanni Garbin “Marte” gli ha esplicitamente detto che il caso era di sua esclusiva competenza. Guido é stato trasferito in Conca Bassa, dove oltre il Prà dei Roi la sentenza è stata eseguita, uno degli errori di una guerra giusta.
«È stato ucciso con una scarica di mitraglia e poi gettato giù in un burrone» (Vita di Giovanni Comisso, pg. 236), dopo una laica Via Crucis durante la quale il giovane si è fermato a raccogliere per la sua tomba ellebori neri e campanelle tra le ultime macchie di neve, «ancora ò saputo di lui: andò alla morte cogliendo i bucaneve e quando ebbe compiuto un mazzo lo uccisero» (ibidem, pg.244) anche se in realtà poi è rimasto insepolto in una trincea per diverse settimane, finché il fratello non è riuscito a salire a recuperarne il corpo il 28 giugno. Per anni davanti a un abete nei pressi è stata infissa una croce di legno con la scritta “Guido Bottegal poeta” passando davanti alla quale i vacareti, custodi di vacche della zona, non mancavano di lasciare qualche fiore di campo, di lui sapevano solo che era morto innocente. Ora il bosco ha ricoperto i pascoli, ma sulla croce c’è sempre qualcuno che depone un fiore, soprattutto i bucaneve attorno alle “Idi di marzo”. Il 22 maggio 2016, dopo un’escursione in sua memoria organizzata da Escursionisti Storico Umanitari, la croce di legno è stata sostituita da una di ferro portata dalla sorella Romana Bottegal, accompagnata dai due figli.
Le tremende e ancora oggi contraddittorie notizie sulla sorte di Guido sono arrivate solo diversi giorni dopo il 17 marzo ai suoi amici e a Comisso stesso, che ne è rimasto devastato e segnato in maniera indelebile. Non è mai più tornato in Altopiano, pur se richiamato da tutti i conoscenti, con toni accorati.
«Dov’è Comisso? L’amico di Renato, l’amico, il padre di Guido? L’uomo sempre giovane di entusiasmo, che abbraccia una pianta, che si commuove per una gemma? Quel Comisso ho invocato quando vili biechi assassini ci tolsero l’amico tutt’ora insepolto, quel Comisso tutti attendono a Cesuna, quelli a cui ho gridato all’infamia e che ho convinto ad attendere colui che forte del suo amore e della sua influenza sarebbe venuto a chiedere giustizia per riabilitare l’amico, per rivendicarne la memoria…non dica che ha sofferto, dal suo sdegno, dalla sua ribellione, dal come Lei saprà far valere l’innocenza di Guido conosceremo il suo dolore, i suoi sentimenti di amicizia» (ibidem), gli ha scritto con un velato accento di biasimo Maria Ercego il 6 giugno. Comisso si è fatto carico delle spese per la tomba, è stato vicino alla famiglia, ma l’unico modo in cui è riuscito a trovare la forza di risalire a Cesuna è stato scrivendo. Nei romanzi “Capriccio e illusione” (1947) e “Gioventù che muore” (1949) e in diversi scritti autobiografici ha tratteggiato la figura del poeta fuggitivo sublimandolo come la quintessenza di una giovinezza febbrile e totale, resa eterna dalla morte violenta «È morto nel mese di marzo, il mese delle sue follie….e ritornerà eternamente nei nostri sogni…egli si è sacrificato per darmi questo terribile senso della vita. Ti ringrazio, Guido. Ti prometto l’eternità» ( “Vita di Giovanni Comisso”, pag. 237).
Giorgio Spiller
Giorgio Spiller è nato a Recoaro Terme nel 1948 e cresciuto sotto le Piccole Dolomiti ma ha frequentato assiduamente l’Altopiano dei Sette Comuni da cui provenivano i genitori. A 14 anni si è trasferito a Venezia dove ha studiato, insegnato e praticato l’arte in diverse discipline. Nel 1969 ha vinto il Premio Bevilacqua La Masa per la grafica. Dal 1980 è stato tra i primi animatori del Carnevale di Venezia con costumi erotici e scenografie urbane. Con il laboratorio di macchinerie teatrali Mondonovo Maschere ha dato vita a diversi progetti artigianali e artistici. Negli anni ’90 ha ideato spettacoli itineranti per l’Hotel de là Ville a Parigi (‘La crèche de Venise’ e ‘La crèche de Saint François’) e per un parco tematico in Giappone (‘I viaggi di Gulliver’). Nel 1999 è stato tra i vincitori del premio internazionale di scultura Terzo Millennio con l’opera ‘La casa orizzontale’ realizzata ad Adro (Brescia). Una quindicina di anni fa è tornato a vivere stabilmente a Cesuna, sull’Altopiano, dove camminando con la testa e pensando con i piedi riconosce e racconta paesaggi naturali e urbani e fa riemergere identità passate e presenti. Scrive per la pagina culturale di quotidiani e periodici locali e ha pubblicato negli ultimi due anni due libri, ‘SHALOM. Profughi, solidarietà e resistenza in un villaggio di montagna’ e ‘IL VILLAGGIO BRUCIA. Vacareti, partigiani e la fine di un’epopea di montagne’. Un terzo è in cantiere, rielaborazione del numero 9 dei Quaderni della Resistenza Vicentina uscito nel 2013: si completerà così la trilogia sui tre villaggi a portata di sguardo dalla sua finestra.
Immagine in evidenza: la croce di Guido Bottegal