Vino e danze sotto i ciliegi - Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Vino e danze sotto i ciliegi – Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Udine è una di quelle poche città italiane che non abbia frenesie di mutamenti d’aspetto. Il suo Castello sovrasta, le strade si svolgono tortuose coi portici accoglienti, le acque seguono le strade attraversando i giardini, gli antichi palazzi sono al loro posto come nelle antiche stampe.

Sembra di ritrovarci nella novella della decima giornata del Decamerone: “In Frioli, paese quantunque freddo, lieto di belle montagne, di più fiumi e di chiare fontane, è una terra chiamata Udine…”. E ci si ritrova, per chi abbia fatto l’altra guerra, come in quei giorni in cui il Comando Supremo aveva la sua sede vigilata nel Vescovado. Nulla è mutato e il dolce sorriso delle udinesi è perpetuo come nelle donne del Pordenone. Così dovrebbero essere le città, immutabili almeno per il tempo di una generazione, senza annientare i ricordi della vita un tempo vissuta.

Si lascia la città verso le colline ad oriente. Subito si entra nella pianura solcata dalle vaste ghiaie del Torre. Un borgo è sull’altra sponda, grigio nei muri di sasso delle case ombreggiate dai larghi spioventi del tetto: il borgo è come un tronco secco tra il verde degli alberi e sta, come nello sfondo di certi quadri di scuola veneta, antico e patinato dal tempo. Il richiamo a quella pittura eccita la fantasia della natura a creare, per chi osserva, tutto un quadro.

Il fiume Torre (foto di Vid Pogacnik, Wikimedia Commons)

Le colline di Savorgnano sono sull’altra sponda. E’ la terra dei feudatari dell’Alto Friuli, di quelli che, negli antichi tempi, parteggiando per l’imperatore d’oltralpe, contrastavano coi feudatari del basso Friuli fedeli alla Repubblica di Venezia. Una divisione di uomini che non ha lasciato alcuna traccia. Oggi qui è tutta un’Italia e persino quegli slavi, scesi secoli addietro sulle pendici abbandonate tra Cividale e Tarcento, vogliono essere soltanto italiani.

Diedero essi alle nostre guerre i più fedeli e validi Alpini e oggi che vedono, come da una finestra entro alla casa di un altro, la vita degli altri slavi oltre il confine, sventolano Il Tricolore come si osi visitarli per indagare sul loro pensiero. 

Di recente uno di questi villaggi in terranostra, prossimo al confine, celebrava con una processione la festa della Madonna. E mentre sfilava la processione, al di là dei reticolati nell’altro villaggio dove non potevano fare uguale festa, la gente seguiva mormorando le preghiere, mentre sul pendio del monte le ragazze componevano con fiori sul verde dell’erba le parole “Ave Maria“.

Alcuni alpini in cordata (Wikimedia Commons)

Ma la natura prepotente travolge nel suo slancio d’amore primaverile, dovunque sono i ciliegi in fiore. Si sale su di un colle che è tutto un altorilievo di vigne e di frutteti. Il signore del colle può essere di questa terra come di quella attorno a Nara o a Yokohama: ha tutto lo spirito orientale di quegli amanti della natura che, nel segnare una strada, la deviano piuttosto di abbattere un albero.

Un albero proteso orizzontale dal ciglio della strada, quando sarà pesante di frutta, potrebbe sradicarsi ed egli lo ha amorosamente puntellato. I tralci delle viti formano continui archi e, dove conviene, si rialzano sugli alberi vicini per avere più luce.

Ancora a questo richiamo della nostra fantasia nel ricordo dell’Oriente, risponde la natura con la sua fantasia per dare continuo il senso di quella terra lontana e perseguiterà fino alla sera in altri curiosi incontri. Ogni tanto, nei punti di roccia, vegeta un bambù cespuglioso e di larghe foglie che si vide uguale nella campagna di Nikko. Ma altrove Il signore del colle, per un suo gusto spontaneo, ha raccolto e disseminato, nei luoghi più ampi di panorama, grandi pietre venate o strane di forma come usano in quelle terre lontane. Egli, quasi centenario, dice che, col suo amore verso le piante, ha trovato il segreto per reggersi validamente nella vecchiaia. E si deve credere.

Sull’alto del colle i ciliegi sospendono il bianco dei loro petali e il vento sa di miele. Da un’altra parte le betulle sciolgono come trecce al vento le tremule foglie e, sotto, una coppia di amanti sta sull’erba, ella distesa in abbandono ed egli ricurva su di lei la testa di sparviero, guardandola negli occhi.

Passiamo ad altri paesi, ad altri colli. Su uno di questi si svolge la sagra del vino. Perseguita il senso dell’Oriente, come su questo colle vicino a Nimis si beve e si danza tra i ciliegi in fiore, così nello stesso giorno, nella campagna giapponese, si fanno le danze per la festa del ciliegi, inebriandosi di verde tè. Per le strade canti e ubriachi ritornano e coppie di amanti si disperdono nelle piccole valli. Tutti vogliono salire al colle, anche vecchi coniugi presi a braccio per spartire la fatica e vecchi solitari. Baracchine e capannucce, sparse sulla cima tra i ciliegi, offrono i vini delle colline attorno e su di una piattaforma si balla. Ma si balla dovunque se suona un’armonica, con l’estro di sollevarsi da terra, di librarsi nel cielo resi leggeri dalle brezza.

Nimis (foto di GandalfRiju, Wikimedia Commons)

Un vecchio danza solo, saltando come un caprone e dalla folla, che con le mani gli segna il ritmo, si staccano coppie di giovani che gli ballano attorno. Il vecchio è infrenabile e ritorna il ricordo dell’imminente richiamo al Giappone, di una vecchia ebbra di tè, dl profumo di ciliegi in fiore nella ritornante primavera, vista danzare sulla collina di Kobe col ventaglio in mano, grinzosa e occhialuta tra giovanette rosee e compatte, con lo stesso accanimento di questo vecchio a sentirsi ancora nella vita. E, strano coincidere nella limitazione degli schemi pur nella grandezza del mondo, come quella vecchia agitava il ventaglio, questo vecchio agita invece un giornale e lo agita come una fiaccola.

Foto di Lê Tuấn Hùng (PxHere)

Ad una capannuccia dove due giovani, marito e moglie, hanno fuso in un vino solo quelli delle rispettive vigne portate in dote, una del colle e l’altra del piano, si fanno gare di poesia. Perché il friulano, quando è ebbro, danza, canta o è preso dall’improvvisazione poetica, non letica, non infastidisce, non sguaina pugnali come in altre regioni, ma fa brillare limpidi versi. “In cielo vi è una stella – dice una di queste poesie improvvisate nel dialetto dolce e mansueto – che brilla di splendore, di tutte la più bella, la stella dell’amore”. E chi la dice alza il bicchiere verso il cielo già notturno, verso quella stella vivissima accanto a un sottile arco di luna, mentre bassa sulla pianura si smorza l’estrema luce del giorno, verdastra, nereggiano le montagne e attorno al colle della ebbrezza biancheggiano sospesi i fiori di ciliegio, come notturne farfalle. 

Giovanni Comisso

dal Corriere di Milano del 09/05/1948.
Immagine in evidenza: Ciliegi in fiore, fonte Pixabay

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