Il Tagliamento dei nostri più tristi ricordi di guerra non si riconosce più. Nei giorni piovosi dell’autunno del 1917 le ruote dei carri avevano consunto il ponte di legno di Casarsa, i soldati sventravano I cavalli sugli argini, acque, uomini e cielo tumultuavano. Ora il nuovo ponte sorpassa svelto e solido i ghiaioni infuocati, tra le sponde pacate dove il contadino appare e scompare tra il verde, intento ad arare. E la strada, tutta asfaltata e ampliata, attraversa Sacile, Pordenone, Casarsa, i primi capisaldi della forte terra friulana con le botteghe stracolme di merci, le case rinnovate con ragazze alle finestre, e gente festosa che attende l’arrivo dei manipoli dei Giovani Fascisti, che in bicicletta avanzano e cantano.
I ricordi di quei giorni con le nostre bandiere appese come cenci alle finestre e gli austriaci che guadavano il torrente penetrando nella campagna, non riescono a risorgere, tanto tutto è mutato, tanto intensa è la luce e tanto diverso è questo festoso tumulto di gente. Dove trovare la casa di contadini che ci offerse il carro per sederci a mangiare come ad una tavola, e il fienile per dormire? Fuggono dietro a noi i ricordi e i paesi; il Friuli si dischiude con i suoi contrasti tra l’aspro e l’armonioso, alle brughiere succedono i colli di San Daniele fioriti di ville e di giardini, ai ghiaioni dei torrenti i vigneti conchiusi di Gemona. E la cadenza del parlare ha qualcosa di sognante, sembra questa gente come appena destata e il pensiero sia ancora legato alle ombre del sonno.
Donne di razza
Gente di Giulio Cesare radicata sull’arco orientale delle Alpi per un destino di difesa dalle invasioni; ricordo certe donne di queste parti durante la guerra che accompagnando il loro fidanzato o marito al treno in partenza per il fronte si rammaricavano di non poter pur esse partire; ed altre ingaggiate per il trasporto delle munizioni sulle montagne, come giungevano alle batterie, scaricate le gerle colle quali a spalla avevano portato i proiettili, dicevano chiaramente di essere decise a non scendere più al piano e di voler dividere là la stessa sorte dei loro compaesani alpini. Ma dopo la battaglia di Caporetto, alle truppe che ripiegavano, il primo e talvolta feroce rimprovero fu dato dalle donne confinarie bellissime e spavalde. Le donne friulane sono in grande parte abituate a reggere da sole le sorti della famiglia, gli uomini emigrano. Un tempo emigravano fino ai più lontani angoli del mondo, famosi come terrazzieri e come manipolatori in genere della pietra e del marmo. Vi sono piccole comunità che trapiantate in parte nel Nord America o in Australia hanno creato laggiù paesi più grandi di quelli di origine. Ma molti, fatti i soldi, ripresi dall’amore per il luogo natale, sono ritornati a godersi Il riposo in una propria casa circondata da proprio terreno. In queste assenze del capo di casa è la donna che ne assume la reggenza. La donna friulana è quindi autorevole, salda e occorrendo anche guerriera, ma senza perdere grazia, per virtù prima della cadenza del dialetto, cantata con malinconia e abbandono.
Dalla riva del Tagliamento si eleva incoronata di selve la roccaforte di Osoppo; contro la valle che si biforca verso i confini delle passate invasioni questo isolotto speronato fa sempre la chiave per serrare la discesa alla pianura.
Poi si arriva a Venzone, cinto di mura massicce, circondate da ampi fossati, con la cattedrale gotica e il palazzo podestarile col grande portico per il mercato e le antiche catene per legarvi alla berlina i malviventi; le strade si intersecano diritte, silenziose e deserte.
La divisione Venzone
La grande gloria di Venzone è di aver, durante l’autunno del 1917, opposto agli austriaci invasori una resistenza accanita tra le ardue balze del monte Festa, imminente al parse elevantesi sull’altra sponda del Tagliamento. Vecchi, donne e ragazzi insieme ai loro soldati che erano scesi dal fronte lasciarono il paese e raggiunsero gli stabbi dove avevano le bestie e qui si sistemarono a difesa bloccando i passaggi, costruendo trincee e supplendo alle poche armi con valanghe di pietre. Gli austriaci che avanzavano col continuo sospetto dell’agguato furono costretti a fermarsi e ad organizzare l’assedio del monte sicuri di trovarsi alle prese con una divisione del nostro esercito. La gente di Venzone sul Monte Festa contribuì alla pur breve resistenza sul Tagliamento che fu tuttavia preziosa al consolidamento delle riserve sul Piave. Nessuno ordinò a questa gente di trincerarsi sul monte tutelare della valle. Il loro vecchio istinto in quei giorni risorse a comandare furente.
Visitammo da ultimo le mummie. La cosa è strana e forse non abbastanza studiata e spiegata. Avviene che messa una salma in determinate tombe della cattedrale o punti del cimitero dopo sei o nove mesi ne risulta completamente mummificata, con la conservazione persino del colore, ma esposte all’aria le vesti si polverizzano e il corpo rimane soltanto incartapecorito. Dicono che ciò sia provocato da un fungo che si chiama ifa bombicina e dicono ancora che Napoleone avesse avuto l’intenzione di farsi seppellire qui per essere in tal modo conservato alla posterità che doveva giudicarlo. Pare che ci siano documenti al riguardo. Indubbiamente il fenomeno meriterebbe uno studio profondo ed eventualmente un’utilizzazione scientifica.
Il sole dopo la tempesta
Vicino alla cattedrale vi è un sepolcreto di queste mummie esposte alla vista che rappresenta una formidabile messa in scena della più strabiliante danza macabra del mondo. Ogni volto ha un’espressione di vita nella morte, e i corpi alternano il senso della crapula a quello dello stento e della vecchiaia. Da qui sotto ad una minaccia di fulmini e di tuoni si partì via correndo nella chiusa automobile contro gli scrosci della pioggia, penetrando in valli ora aperte ora chiuse, tra boschi dove il verde delle acacie si faceva tenue nell’umido, attraversando paesi invasi dalle acque, valicando colline che parevano disfarsi sotto al diluvio e rasentando un lago fosco e deserto con monti strapiombanti su di esso, equatoriale e selvaggio, per poi ritornare ancora sulla riva del Tagliamento con l’isolotto speronato di Osoppo splendente di verde ai primi squarci dì sereno, incoronato italianamente su dal piano da tre arcobaleni che parevano soltanto dì tre colori.
Giovanni Comisso