I tormenti di un ex-giovane assai brancatiano (femmine e indolenza), la fobia dell’aereo e il gioco di dadi del destino, una voce di donna perduta, remota – da inseguire e trovare. “Avaria” è un divertimento, rapido e veloce, di alta qualità. La prosa procura gioia a chi ama le sfumature della tessitura verbale e le combinazioni fantasiose della lingua: del resto, non può essere un caso se uno si chiama Vladimir. Ma c’è anche molto Vitaliano da queste parti, non solo nella forma mentis del personaggio principale: Vladimir però sostituisce l’ironia con il più fine umorismo. È un romanzo diverso dai suoi precedenti: la lingua è meno barocca che negli “Ansiatici. Living in the pool” (Prova d’Autore, 2002) e nelle “Incompiute smorfie” (Meligrana, 2014), splendidi per architettura e luce furiosa che quasi sbalza dalla pagina, ma dal passo meno agile e scanzonato, meno leggero che non quello di “Avaria”.