Da quando Alceste andava in bicicletta era assai soddisfatto dei suoi pensieri. Erano, come egli diceva, felici pensieri, quali risolvevano oscure situazioni sia d’ordine generale umano, sia relative a se stesso, sia per gli altri. Appunto di recente con uno di questi pensieri riescì a sollevare un suo amico che si trovava in una ben triste situazione.
Aveva Alceste percorso la campagna con la bicicletta in una straordinaria mattina di novembre. I giorni precedenti erano stati turbinosi per una burrasca che egli definì: la burrasca della caduta delle foglie. La pioggia fredda si era mischiata al vento, ma sulle prealpi che chiudevano la pianura veneta era caduta la neve sin quasi alle ultime pendici. In quella mattina era ritornato il sole e le nubi venivano cacciate dal vento freddo, nell’alto del cielo, verso il mare. Le foglie erano in grande parte cadute, ma quelle che rimanevano sulle fronde estreme erano mutate in un giallo stupendo del tutto simile all’oro. Vedeva egli correndo in bicicletta le montagne lontane nitide e bianche attraverso l’aureola tremula delle foglie ed era un vero incanto di colori inattesi che segnavano l’incidenza di una stagione che si mutava in un’altra. Quel giallo fremente, quel bianco fermo nel definire le vallate, il sereno luminosissimo del cielo davano tale ebrezza che non avvertiva il triste passaggio del tempo col finire di una stagione e con l‘inizio di un’altra. Era come se subisse un’operazione dolorosa nell’astrazione data da un anestetico.
Giunto in città incontrò l’amico Marcello che non rivedeva da anni e gli apparve assai invecchiato e immiserito. Lo invitò al caffè e battendogli la spalla gli chiese come gli andasse la vita. “Molto male, caro mio” gli rispose Marcello. “Io sono completamente in miseria“. Alceste gli contraddisse che sapeva che aveva una piccola campagna vicino alla città e se non l’aveva venduta poteva ricavarne un buon affitto. “Proprio per questa campagna io sono finito in miseria“. soggiunse Marcello e gli raccontò questa lunga storia che Alceste ascoltò con sempre crescente interesse. Marcello era un raccontatore minuzioso e pur dilagando sembrava si divertisse di coordinare ai suoi accidenti, fatti di importanza più vasta.
Egli addirittura volle risalire al principio di questo secolo e gli ricordò un famoso deputato, che era molto bello, molto bello, assai eloquente, ed era stato eletto, non col voto delle donne, perchè allora le donne non ne erano considerate degne, ma per la propaganda e quasi per l’imposizione di esse sugli elettori. Le donne andavano pazze per lui e alla sua elezione, allora, avevano veramente delirato. Per tutto il tempo in cui egli aveva frequentato la Camera dei deputati, si era sbracciato con discorsi e con rapporti allo Stato Maggiore, per la suprema necessità di costruire una linea ferroviaria stategica che doveva collegare il centro della pianura padana a Treviso, la quale in caso di invasione dell’Austria avrebbe permesso un rapido spostamento di truppe. In fine governo e Stato Maggiore si convinsero della necessità e ordinarono la costruzione di questa linea chiamata: la Ostiglia-Treviso.
La borghesia trevigiana di quel tempo, sempre nei sospetto che un giorno o l’altro dovesse scoppiare una guerra con l’Austria, si sentì tutelata da questa nuova linea ferroviaria un po’ come i francesi dalla linea Maginot prima di quest’ultima guerra e ripetevano sempre con sicurezza e orgoglio nelle loro conversazioni al caffè che in caso di guerra v’era l’Ostiglia-Treviso. E le due parole risonavano in una pienezza, per fare un altro raffronto, come oggi: bomba atomica.
Venne la guerra, ma i lavori erano stati condotti con tale lentezza che la linea era solo in qualche parte tracciata. E quando veramente sarebbero occorsi i più rapidi spostamenti dal centro della pianura padana verso oriente il treno strategico per quella linea strategica non funzionava. In verità Cadorna aveva trovato che, piuttosto del treno, erano convenientissimi i nuovi mezzi motorizzati e di essi si era servito durante l’offensiva di Asiago, fatta dall’Austria, per spostare da un fronte all’altro intere divisioni, senza l’obbligatorietà e la facile individuazione fatta dagli aeroplani di un trasporto ferroviario.
Alceste lo interruppe chiedendogli cosa v’entrava tutto questo colla sua pessima situazione. Marcello gli rispose che appunto quella linea ferroviaria veniva a passare attraverso la sua campagna, già piccola, dividendola in due parti giacché, finita la guerra e dimostrata inservibile quella linea agli scopi strategici, si era tuttavia deciso di proseguire nell’attuazione forse, come si fa ora, per dare lavoro ai disoccupati. Ad aggravare l’impoverimento della sua terra, era subentrato un altro fatto, che un casello ferroviario che avrebbe dovuto essere situato sulla terra confinante fu messo invece sulla sua perchè la terra confinante apparteneva a un senatore il quale poteva più di lui raccomandare di evitargli questa seccatura. Marcello non si dilungò molto su tutte le vicende dell’esproprio, sui danni che gli fecero nel costruire il casello, nel costruire il terrapieno per la ferrovia, portandogli via con escavi terra dai campi che finirono coll’allagarsi a ogni piccola pioggia. Non si dilungò sul misero compenso per la terra espropriata che risultava di circa un ettaro e sulle lunghe trafile per incassarlo, ma preferì spostare verso altri elementi il suo racconto. Ricordò come nell’imminenza di quest’ultima guerra la linea ferroviaria era ormai compiuta e pronta a spostare le truppe dal centro della pianura padana verso il confine orientale. Però scoppiata la guerra questa rivelò di avere un fronte completamente all’opposto, sicché anche questa volta la grande linea strategica Ostiglia- Treviso, la Maginot del Veneto, non ebbe possibilità di funzionare. E poi le truppe, se dovevano essere spostate, avevano non solo i mezzi già sperimentati da Cadorna, cioè le colonne di autocarri, ma altri mezzi ancora più efficaci, cioè i trasporti aerei. Marcello sorridendo volle fare notare ad Alceste l’ironia di certe situazioni perseguitate dall’assurdità. E gli ricordò quale era stata durante l’ultima guerra la vera funzione strategica di questa linea ferroviaria. Da una parte, i tedeschi avevano trovato in questa linea inservibile e inutile un deposito formidabile di rotaie e putrelle che smontarono e spedirono in Germania per raggiustare le loro linee sconvolte dai bombardamenti. Dall’altra parte, gli anglo-americani, che nelle loro informazioni segrete avevano registrato l’esistenza di questa linea strategica, pur non passandovi alcun treno, pur essendo priva di rotaie, ordinavano periodicamente ai loro aviatori di andare a bombardare i ponti che ne facevano parte. Alceste di nuovo lo interruppe per chiedergli se la sua situazione disastrosa fosse dipesa dalla distruzione della sua casa in uno di questi bombardamenti. Marcello sorridendo gli disse di no e che da ben altro dipendeva.
E vedendolo impaziente venne alla conclusione. Nel 1942, finita la linea ferroviaria, egli aveva firmato un verbale di liquidazione; e lo trasse di tasca. In un angolo aveva un grosso suggello con impresso il timbro del ministero dei Lavori Pubblici, il quale suggello fermava un nastrino di seta bianco rosso e verde. Gli evitò di leggere tutto, volle solo leggesse l’articolo quattro: “Per quanto riguarda la liquidazione di interessi e rimborso d’imposte fondiarie, la ditta qui contraente dichiara di non avere in proposito più nulla a pretendere, ritenendosi con le indennità complessivamente stabilite in suo favore, compensata e completamente tacitata, anche degli interessi fino al giorno dell’effettivo pagamento, nonché delle tasse fondiarie che essa ditta ha pagato e si obbliga a pagare fino all’operatività della voltura catastale in testa al Demanio dello Stato, ramo ferrovie“.
“Hai sentito?” gli chiese Marcello. “E devi sapere che dal 1942 a oggi 1949 il ministero dei Lavori Pubblici non ha fatto alcuna voltura, come la legge impone per la validità di un trapasso di proprietà, sicché quella terra espropriata è ancora intestata a me e io da allora ne pago le tasse senza goderla, tasse che con tutta probabilità lo Stato non mi rimborserà mai.”
“Ma tu perchè hai firmato quell’atto con quell’articolo quattro?” gli chiese Alceste.
“Ho firmato perchè non potevo presumere la malafede dello Stato a non eseguire subito la voltura, come per legge è obbligo tra privati“.
Alceste sentiva di maturare uno dei suoi felici pensieri e gli chiese quale fosse lo stato attuale della linea ferroviaria e del casello entro la sua campagna. La linea era ridotta a un informe letto di ghiaia e il casello era stato occupato da gente che si diceva sfollata per i bombardamenti, ma invece dopo avere trafficato in contrabbandi, nel casello della ferrovia, che era sorta con scopi strategici, avevano fatto una bisca clandestina e un mezzo bordello.
“Benissimo“, disse Alceste, “devi sapere che fino a quando quella terra espropriata e quel casello non sono iscritti nel catasto, in testa al Demanio dello Stato, ramo ferrovie, come dice l’articolo quattro, risultano sempre di tua proprietà, quindi ne sei tu il proprietario e ne puoi fare quello che vuoi. Affrettati, offri in vendita casello, letto di ghiaia della defunta ferrovia, vendi magari anche tutta la campagna, la gente del casello deve avere milioni e compererà di certo“.
Marcello era dubbioso, egli pensava che era un delitto vendere una cosa che non era sua, dopo avrebbe dovuto restituire il denaro e forse pagare fortissime ammende. “No“, gli disse risoluto Alceste. “Un delitto è quello dello Stato che non ha fatto subito la voltura come era suo obbligo, speculando su di te, facendoti pagare le tasse per una terra che non è più tua. Tasse che non ti rimborserà mai. È lo Stato che ti insegna come devi fare, vendigli la terra e la sua negligenza o la sua malafede sarà punita con le sue stesse leggi“. Marcello si alzò invigorito e disse che andava subito da un mediatore. Pochi giorni dopo la terra era venduta, venduto era stato pure il casello e tutto il letto ghiaioso della ferrovia strategica ideata dal lontano deputato, già ufficiale di cavalleria, che piaceva tanto alle donne. Tutto fu comperato dai loschi sfollati che abitavano al casello, la miseria di Marcello era finita, con alcuni milioni in tasca egli partiva verso Genova da cui sarebbe salpato per l’America. E nel salpare egli non ebbe un pensiero per la patria che lasciava, ma lo ebbe per Alceste che lo aveva così perfettamente consigliato.
Giovanni Comisso
Pubblicato alle pagg. 5 e 6 de Il Mondo del 3 dicembre 1949
Si ringrazia la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e il portale della Biblioteca Digitale