“Geografie di Comisso” ( Ronzani Editore ) di Nicola De Cilia sarà presentato domenica 13 ottobre a Treviso, al Museo di Santa Caterina ore 16:00 nell’ambito del CartaCarbone festival letterario.
Nelle geografie di Comisso, Chioggia è l’isola smisurata, tenebrosa e solare, drammatica e felice, passionale e serena, il porto da cui ripartire verso terre nuove e selvagge, dove vivere nella massima libertà. In quel pomeriggio d’estate, pochissimi denari in tasca e il passo di chi esca dalla prigione, Comisso si allontana finalmente dalle brume di un periodo incerto. Con Giulio Pacher, trascorrono una meravigliosa giornata al mare:
Avevamo comperato un po’ di pane e ci eravamo fatto regalare dagli ortolani alcune cipolle che arrostimmo a un fuoco improvvisato, come naufraghi accanto alle onde, poi ci buttammo a nuotare, e sott’acqua ci si trovava simili a pesce rasentandoci.
La sera, ebbri di mare, di piacere, della propria giovinezza, ritornano a Treviso.
Dopo giorni di nebbia, fitta al punto che neppure i vaporetti circolavano, ieri, improvviso, ha iniziato a spirare il vento di tramontana; ha ripulito l’aria e rinvigorito l’animo. Questa mattina, la luce del cielo sembra la medesima descritta da Comisso: data dal riflesso delle acque, e il vento conserva il ritmo delle onde.
Il mio autobus percorre il Lido, raggiunge il borgo di Malamocco.
Tra la Laguna e il mare: la landa erbosa e sabbiosa, i grandi alberi con le strade nuove e vecchie, certe vigne bibliche rinserrate, certi orti feraci e case sparse e difficili a vedersi tra gli alberi fitti.
Qui, brilla ancora un riverbero popolare, mentre salgono donne con le borse della spesa, qualche anziano, un giovane in tuta da ginnastica. Agli Alberoni, l’autobus aspetta il ferry-boat dalla vicina isola di Pellestrina. All’altezza della bocca di porto vedo emergere ingombranti strutture di acciaio e cemento: il cantiere del Mose, mostruosa tela di Penelope. Quindi, l’autobus riprende a correre finché si ferma all’altezza del cimitero, al capolinea. Di lì, l’ultimo tratto in vaporetto fino a Chioggia.
In Gioco d’infanzia, Alberto, dopo l’ennesima lite con il padre, parte per la città lagunare. Tutto gli appare nuovo, attraente e prova il desiderio di essere come quegli uomini e quelle donne, di vivere la loro vita.Si sente rinvigorito, al culmine della forza e dell’ebrezza.
Le ombre tra le case miserabili, le voci sommerse dentro alle porte socchiuse, le figure di donne che apparivano e scomparivano, i passi dei marinai che venivano dal canale, i richiami per la cena dalle finestre: egli spiava, fiutava, ogni segno di questa vita arrivava a lui come ad accrescere il suo entusiasmo, una promessa.
Non appena scendo dal vaporetto, capisco perché ho trovato tanta folla a bordo: è giorno di mercato. Immaginavo una città intorpidita dal freddo, e invece mi muovo a fatica tra sporte e carrozzine; cerco riparo tra le calli, ortogonali al corso centrale, quasi lische di un enorme pesce.
Nessun veliero alla fonda, soltanto una gru celeste montata su una nave davanti all’imbarcadero: la benna gialla draga il fondo della laguna, mentre l’odore del gasolio che esala dai cantieri navali si mescola con le folate di fritto. Attratto dalle grida dei pescivendoli, entro in uno spazio coperto dove il vociare di venditori e compratori risuona quasi al modo di un concerto.
Un senso di sazietà mi spinge a ripartire, allontanandomi dalla folla. Non senza aver prima cercato, tuttavia, il caffè Vigo. Seduto a un tavolino, Comisso racconta di aver scritto in quella piazza il primo racconto di Gente di mare. Annota nel diario:
Dal pezzo precedente scritto a Treviso a questo si vede la differenza. Io penso che fu proprio il paese dove ero a farmi scaturire la mia vena buona. In un altro passo: Nello scrivere bisogna tener presente che base forse prima della forza d’espressione è il “temperamento” del momento in cui si scrive. Questo temperamento o ispirazione proviene direttamente dalle forze occulte del mondo.
Riflessioni importanti, queste di Comisso, che forse per la prima volta prende consapevolezza del legame strettissimo tra il luogo fisico e lo scrivere.
Io sono profondo nella terra, mi sembra di essere un verme che s’addentra. Presto risalirò farfalla.
Sembra quasi fargli eco un nostro contemporaneo, lo scrittore inglese Robert Macfarlane:
«Tra le forme fisiche del mondo che ci circonda e la configurazione del mondo interno della nostra immaginazione è in atto uno scambio costante che ci modella in modo straordinario».