“Migrante per sempre” di Chiara Ingrao
Può risultare difficile per un migrante moderno (come lo sono io) identificarsi con Lina, la protagonista di questo romanzo storico, e la sua famiglia di migranti siciliani nel dopoguerra. Migrare negli anni 50 era un salto nel buio: per trovare un lavoro il padre di Lina parte nella notte con un compare dalla Sicilia contadina verso il nord, attraversano da clandestini le frontiere di mezza Europa e approdano in Germania, paese sconosciuto. Nell’Europa di oggi non esistono frontiere e grazie all’Internet un migrante sa esattamente dove andrà a finire. Solo i pregiudizi verso gli stranieri rimangono gli stessi. Anzi, i sentimenti di ostilità crescono in modo esponenziale con l’aumentare del volume delle migrazioni. Dobbiamo arrivare verso la fine del romanzo, quando Lina rientra in Italia da sposata e con un figlio, per riconoscere dentro di noi, migranti di oggi, lo stesso senso di estraneità che la fa sentire più straniera che in Germania. Questo perché, come ci fa capire l’autrice, la vera mutazione avviene dentro l’anima del migrante. Dal momento in cui uno ha fatto le valigie si trasforma in una persona perennemente in transito. “Chi è stata migrante resta migrante per sempre.”
Lina nasce in Sicilia, rinasce in Germania suo malgrado, e rinasce ancora a Roma e non ha mai paura di lasciare quel che era. Questa è la storia di chi ha il coraggio di partire e di vedersi cambiato nonostante le rinunce, è la storia di Lina, dei suoi amori, delle sue ambizioni, Lina che è un po’ ognuno di noi.
Lina vorrebbe studiare ha una borsa di studio ma nonostante sia brava la vita la porta in Germania dove la fabbrica può salvarti dalla fame. Questa è una storia di andate di ritorni e di incontri. Leggendo questo libro ci interroga su cosa comporti realmente essere migrante e che emigrare non è solo una questione economica, è un fatto di dignità e di scoperta anche se a volte è obbligatorio anche se non è sempre una scelta: così, un po’ come la vita. Altissima scrittura.
“Voglio mia madre”. È Pippuzzu che urla nella notte: vuole sua madre, non quella sconosciuta al suo fianco. Ma la sconosciuta è sua madre, solo che lui non la riconosce più, da quando è partita per la Germania a cercare lavoro.
È una storia di migranti, questo libro, ed è anche una storia di donne. Donne decise, determinate e al contempo confuse, incerte, a volte titubanti. Perché al mondo appaiono fiere, forti, decise, determinate, ma poi, nella solitudine del loro letto, piangono per aver lasciato i figli a casa, perché non li possono vedere crescere. Donne che si oppongono a un sistema che le vorrebbe asservite, ma che poi impediscono alle proprie figlie di divertirsi al juke box in piazza per evitare inutili e stupidi pettegolezzi.
Donne con contraddizioni, come tutte, che cadono e si rialzano. Ma non sempre.
Lina è ora senza radici, come sa bene chi è emigrato, all’estero o anche solo in un’altra città. Non mette radici, vorrebbe, ma nessun posto è casa sua.
È così da sempre per tutti i migranti: si rimpiange il proprio paese, che però non si riconosce più, ma non si riesce a sentirsi a casa nemmeno nel paese ospite. Sempre in bilico tra due o più mondi. Costretti in un posto, mentre il cuore vorrebbe andare da un’altra parte, luogo geografico e della memoria.
Migrante per sempre, di Chiara Ingrao mi ha dato due chiavi di lettura.
La prima è un accorato resoconto della vita di una famiglia emigrante dal 1969 al 2006. Siciliana in questo caso specifico ma che si può (credo) estendere a tutti gli emigranti del mondo. Vi si legge il dolore dei genitori che partono lasciando a casa i figli o i propri genitori; il dolore dei figli che vedono andare via i genitori porto sicuro dell’infanzia e devono rimanere con nonni o parenti. L’angoscia nel sentirsi strappati dalla propria terra, una volta raggiunta l’età minima per lavorare, e trasferiti in un mondo nuovo, ostile, nel quale non si è capaci nemmeno di esprimersi e ci si sente l’avversione altrui addosso, senza poter replicare e senza poter costruire una qualche base di amicizia che ti dia la forza, umana, per sopportare.
La seconda è la battaglia di Lina, la protagonista, nella quale l’esperienza vissuta, assieme ad un innato coraggio e bontà d’animo, ha comunque instillato forza e valore per emergere, per lottare, per non farsi sopraffare, per cercare in qualsiasi modo di raggiungere la classica “vita migliore” che ogni genitore desidera per se e per i propri figli.