Alessandro Toso racconta a Giovanni Comisso la Treviso di oggi.
Buon pomeriggio Maestro,
o forse dovrei chiamarla Giovanni? Sa, qui da noi tutto è diventato talmente informale, ormai perfino le commesse del centro hanno terrore di usare il Lei, per paura che i clienti si sentano troppo vecchi. Chissà cosa penserebbe, se entrando in un negozio per provare un soprabito si sentisse rivolgere uno squillante “ciao!”. Ma non volevo parlarle di questo. Il fatto è che l’ho incontrata proprio l’altra sera a Treviso, ed ero insieme a un mucchio di altra gente che pendeva dalle sue labbra.
Eravamo tutti seduti, e fermissimi, eppure le sue parole ci hanno portato via e lontano da quel posto così elegante che lei, di questo sono certissimo, avrebbe descritto con sapiente distacco e ironia tagliente.
Siamo stati a Fiume, sulla costa Adriatica ricca di spiagge e incontri galanti, e lei era insieme al suo sodale, quel tale Keller che parecchie delle signore presenti avrebbero incontrato con una qual certa curiosità.
Ma non è finita lì, perché poco dopo ci siamo trasferiti a Parigi, e lì abbiamo vissuto altri esplosivi sodalizi artistici tra artisti della parola e talenti dell’arte figurativa, e cene di capodanno in completa solitudine, ma anche l’improvvisa apparizione di una coppia la cui massima concessione alla mondanità era proprio quell’unica uscita. E sa cosa le dico? Perfino quel viaggio nella Mosca bolscevica, così lontano dalle mollezze e comodità parigine cui avevamo appena fatto in tempo ad abituarci, è tornato ad aprirci gli occhi sulle storture di un mondo che, pensi un po’, cominciavamo a dimenticare e, in qualche sparuto caso, perfino a rimpiangere.
Mentre lei si riposava nella sua casa di campagna, caro maestro, e quanto le abbiamo invidiato la capacità di ritrovare l’interezza di un’esistenza in un solo metro quadrato, dicevo mentre lei si concedeva un meritato riposo lontano dalle cose, molto è cambiato in quei paesi a lei cari.
Pensi, a Fiume, che ora si chiama in un altro modo, stanno arrivando i cinesi. Sì, i cinesi, che ora giurano sul libero mercato e intendono investire un sacco di denaro per ricostruire il porto dal quale lei osservava il sole inabissarsi nell’Adriatico. A Parigi, invece, tutto è in subbuglio, come in una nuova e ridotta edizione delle rivoluzioni popolari delle quali lei è stato testimone. Tutto si riaggiusterà, ne siamo convinti tutti, eppure l’atmosfera di infinite possibilità che lei ha vissuto insieme a De Pisis appare irrimediabilmente compromessa. Invece, ne vuole sentire una bella? È proprio a Mosca, nella capitale del grigiore sovietico il cui fumo pareva averle avviluppato anche l’anima, che pare essere ricomparsa la chimera dello sviluppo da raggiungere correndo a perdifiato, magari a bordo di una fuoriserie veloce come un lampo.
Lo so, sono informazioni che la lasceranno perplesso, eppure mi piacerebbe chiudere questa mia missiva parlandole della sua Treviso, la creatura dai fianchi morbidi che la portò al mondo e che restò con lei anche quando ne era lontanissimo.
Qui, e immagino le farà piacere saperlo, non è cambiato quasi niente.
Certo, se si trovasse a passeggiare lungo il Calmaggiore troverebbe qualche insegna che non ricordava, e magari resterebbe perplesso nell’incrociare distinti gentiluomini vestiti di tutto punto, e però con le caviglie al vento, ma si tratta solo di una pettinatura diversa per una donna che lei ricorda ancora alla perfezione.
Qui, all’ombra degli alberi delle Mura e davanti a un bicchiere di Prosecco, amiamo sempre raccontarci certi dettagli piccanti che appartengono alla vita di qualche compagno di scuola, o un collega di lavoro, magari l’amico di un amico. Senza cattiveria, si intende, e senza giudicare, che ognuno fa quello che vuole, ma in maniera leggera, tanto per far passare il tempo che ci separa dalla cena.
E poi, naturalmente, abbiamo il lavoro, che grazie al Cielo rimane il nostro primo pensiero quando ci alziamo dal letto e l’ultimo prima di coricarci.
Ecco, schei, donne e qualche ciacola, questa è la città che ritroverebbe se decidesse di venire a trovarci di persona.
Ma non si preoccupi, non serve che si muova lei. Veniamo noi, ad ascoltarla, come abbiamo fatto l’altra sera e come continueremo a fare ogni volta che ce ne darà la possibilità. Perché vede, maestro, certe parole valgono più di altre, e noi che ci muoviamo all’ombra dei portici e ci fermiamo a leggere i nomi di chi ci ha lasciati sulle epigrafi in Piazza, abbiamo bisogno di idee e pensieri che ci aiutino a capire perché altrove, più lontano, le cose stiano cambiando con la velocità che le dicevo.
Anche oggi, a cinquant’anni di distanza, per noi trevigiani i suoi scritti sono note di un diapason che ci consentono di rimanere accordati con il resto del mondo, e mi perdoni la povertà del paragone, ma sono certo che capirà.
Dopotutto, anche i migliori maestri hanno bisogno di allievi un po’ zucconi che stiano a sentirli.
Mi stia bene, maestro, ci rivediamo alla prossima.
Suo, Alessandro Toso
La foto di copertina, Giovanni Comisso ritratto nel 1968 dall’Arch. Luciano Svegliado