di Elena Filini.
Cinquant’anni fa la scomparsa dello scrittore trevigiano che interpretò i cambiamenti sociali in una terra che si avviava ad una profonda trasformazione: dalla civiltà contadina all’industrializzazione.
Un progetto di digitalizzazione dell’archivio sta consentendo di conoscere anche una sua cornice privata e intima.
“Restituire maggiore autenticità a questo personaggio” è una memoria sterile e una memoria utile. Poi c’è il ricordo. Che è una cosa più lieve, che si può percepire passando il ponte di San Francesco o addentrandosi per i Buranelli nel cuore di Treviso. Comisso è entrambe le cose: memoria e ricordo. Per il ricordo c’è la città, ci sono i ritratti di Parise, di Arbasino, di Montale, di Guido Piovene.
Per la memoria c’è il premio Giovanni Comisso. Sono 50 anni che lo scrittore trevigiano se n’è andato: lui che aveva conosciuto le trincee, i mari e i viaggi transcontinentali, alla fine aveva voluto invecchiare nella campagna di Zero Branco, tra ingenue manie e tramonti di pianura. Di vera dimenticanza Comisso non ha mai sofferto: i suoi amici, quasi come in un lied schubertiano, ne hanno intessuto la permanenza.
“Fondammo l’Associazione – ricorda Neva Agnoletti, presidente onorario dell’associazione Amici di Comisso – nel decennale della scomparsa di Comisso perché la sua opera, la sua scrittura, che tanto ci aveva nutrito e nella quale ci specchiavamo, rimanesse attuale e sempre viva nell’interesse dei lettori “…
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