Giovanni Comisso nella Rouen di Madame Bovary

Rouen, dicembre

Ci avevano «detto che assolutamente bisognava venire a Rouen perché la città meritava d’esser veduta. Soggiunsero  è proprio una città come le nostre: con palazzo di città, di giustizia, ricche chiese e un chiostro con una strana danza macabra scolpita sulle colonne. «E poi — ci dissero — è la città dove venne bruciata Giovanna d’Arco e degli amori di Madame Bovary con Leone…». Fu questo a deciderci. Per di più quale garanzia, non richiesta, ci assicurarono che il viaggio sarebbe stato splendido tutto lungo la valle della Senna e che Rouen è anche porto di mare.

La déception fu totale. Conclusione: non bisogna muoversi da Parigi. La provincia, francese deve essere tutta una zona mortale, tremenda, impossibile. Alla larga! Pure bisogna andarci, perché solo là si può capire l’origine dei grandi romanzi francesi. La provincia è il vuoto rispetto a Parigi. Il senso di tale dislivello anima Stendhal, Flaubert e Balzac. Grande parte della loro potenza artistica è sostenuta e nutrita dai contrasti dati da questa netta diversità di clima sotto lo stesso cielo.

La vallata della Senna consiste, fuori di Parigi, in un fiume che scende a mare con grandi serpeggiamenti sulla pianura monotona.

Ogni tanto in mezzo vi sono isolette lunghe e sottili, in certi punti sulle rive colline spoglie o boschi uguali. Pescatori di canna qua e là stanno fermi come tronchi d’alberi e grandi chiatte scendono con la corrente.

Nessuna sorpresa. Visto per cinque minuti può bastare. Il resto del tempo può venir consumato nel sonno senza rimorsi. Si viaggia celermente, siamo sulla linea Parigi-Londra. Il treno nella foga della corsa dà un suono armonioso quasi d’organo o di flauto.

Ma ogni dolcezza scompare perché due signore di Rouen, reduci da Parigi dove sono state a fare degli acquisti, si sono messe a chiacchierare con l’intenzione di vedere chi resiste di più. Bocche infrenabili, mani adunche, spalle carnose e seccate pel caldo dello scompartimento.

Non vanno d’accordo sui modelli per i propri abiti e progettano avidamente pellicce per l’inverno. Bisogna lasciarle cantare.

Madame Bovary, Eugenie Grandet, Madame Renai erano donne di provincia, ma non di tale specie. Sarebbero rimaste” tristemente a guardare dal finestrino queste grigie acque della Senna che pare trasportino cenere disciolta.

Rouen, arrivando, si presenta abbastanza bene. Ampia distesa di case con guglie di chiese gotiche da per tutto; la Senna l’attraversa. Fumo di fabbriche e di piroscafi attraccati. Ponti elevati. La città pare vasta e tumultuosa. Poi, quando si scende, subito ci s’accorge che è ben altro. Prima ancora di scegliere una strada per andare al centro si compera un giornale. Il Fanal de Rouen non esce più, comperiamo il Journal de Rouen, fondato nel 1762. C’è un grande articolo di fondo. Ecco, ecco la provincia! La reorganìsation de l’Aviation coloniale. E’qualcosa di allegro. Da Rouen, una città di centoventimila abitanti situata in un angolo della Francia, si parla con un tono da lungimiranti osservatori; e da profondi competenti sulla necessità di sviluppare l’aviazione nell’Indocina. « Ilfaut reconnaìtre (stando a Rouen) qu’avec ces faible moyens l’aéronautique indochinoise a accompli une oeuvre utile, politique, economique, militaire et sanitaire…». E non si arriva a sapere per quale ragione il più grande giornale di questa modesta città si preoccupi spasmodicamente d’un problema come questo. «Mais la précarité de l’àviation elle-méme nous étonne et nous angoisserait, si nous ne savions (meno male!) que des projets de réorganisation et d’amplification s’élaborent, qui remédieront à la nefaste carence qui jusqu’ici paralysa l’aviation coloniale».

La piccola strada è tutta sconnessa. Si sarebbe compreso un articolo di fondo per provvedere alla pavimentazione locale. Prendiamo un tram leggero e arioso che sembra un cestello e s’arriva ad una piazza dove il volto sorridente e sbarbato del cavaliere d’un monumento equestre ci fa pensare si tratti della Pulzella. Invece è Napoleone. Dietro, l’Hotel de Ville somiglia a una caserma. accanto v’è la chiesa gotica di Saint-Ouen, squallida e disadorna nell’interno.

Si va in cerca del chiostro con la danza macabra. E’il chiostro di Saint-Maclou. Forma un cortile, il porticato è stato ridotto in abitazioni, sulle colonne miserelle la danza macabra è stata tolta da tempo a colpi di martello, Tutte le altre chiese sono eguali. Tuttavia si ha fede nella cattedrale e la ricerchiamo. Per la rue des Bonnettiers si ritrova la provincia.

Si sente l’odore del pane fresco, e tutti i rumori che partono dalle botteghe delle case malconce: dal fabbro, dal falegname, dagli scalpellini che restaurano una chiesa, e le chiacchiere nel piccolo caffè sulla ricomposizione del Ministero.

Rasentiamo l’Arcivescovado dove ebbe luogo il processo della Pulzella. La cattedrale è attigua, si entra per un cortile con vecchie pareti e archi neri, qua e là sbiancati come da un logorio. Ci si ricorda di Leone in attesa di Madame Bovary, e lo scaccino che lo seccava per fargli visitare la chiesa.

Lei andò subito ad inginocchiarsi davanti alla cappella della Vergine; questa bigotteria lo aveva irritato. Lo scaccino ritornò ad insistere, egli non ne volle sapere, ma Emma, che veniva da Yonville, voleva passar per forestiera e disse : « Pourquois pas? ».

Allora dovettero sorbirsi tutte le spiegazioni sulle tombe dei cardinali d’Amboise e di Luis de Brézé « seigneur de Breval et de Montchauvet, comte de Maulevrier, baron de Manny… ». L’éternel guide seccava Leone desideroso di Emma. «Imbécile!» borbottò Leone e si slanciò fuori della chiesa cercando una carrozza. Oh! il lungo vagabondaggio dei due amanti per le strade di Rouen nella carrozza chiusa! Il cocchiere non sapeva spiegarsi come mai non gli dicessero di fermare, e i borghesi guardavano con sorpresa la novità d’una carrozza con le tendine abbassate che appariva continuamente per le stesse strade più chiusa d’una tomba e traballante come un naviglio.

Siamo usciti con lo stesso slancio dalla chiesa deserta e siamo corsi in cerca d’una libreria per ricomperare subito il libro che avevamo letto da appena pochi mesi, in campagna, distesi su d’un prato accanto a un fiume e alzando gli occhi dalle pagine si scoprivano i quadrifogli tra l’erba. E si era convinti che era l’arte che la romantizzava così, tanto era forte!

Nella libreria semibuia cerchiamo il libro e nello stesso momento che si trova e subito s’apre, una giovanetta entra e si mette a parlare col libraio nel fondo della bottega, ma non ha detto due parole che improvvisamente si dà a piangere con alti singhiozzi. Un amore svanito? Un sogno crollato? Un torto ricevuto? Avrà diciott’anni e piange cosi vivamente in pubblico. Il libraio forse sarà suo padre. Mistero, mistero! Moeurs de province.

A Parigi non avevamo mai sentito piangere. Madame Bovary che ritorna? Crisi? Certo un cuore sensibile. I suoi singhiozzi ci seguono sulla strada fatta di case con le facciate di tavole incastrate nella calce. Non si ha più voglia di ricercare né il Palazzo di Giustizia, né quello di Bourgtheroulde, né la piazza dove arse Giovanna d’Arco, né la torre dove fu prigione: ci basta vederli nelle cartoline illustrate. Ma le farmacie ci colpiscono. Povero Charles Bovary! E ancora si spia nell’elenco degli alberghi per vedere se esiste quello della Croix Rouge, là dove da Yonville arrivava la Hirondelle, la vecchia diligenza di campagna.

Ci si ritira cosi in un caffè del porto e in attesa del rapide per Parigi riprendiamo la lettura del libro. Ad ogni pagina che si volta sospendiamo un momento la lettura e attraverso ai vetri inumiditi guardiamo il porto dove qualche piroscafo fuma e lontano si distingue la cima nuda del colle di Santa Caterina. Ma giunti a pagina 9, là dove si parla della vita di studente di Charles Bovary a Rouen quando abitava in rue Eau-de-Robec (« Dans les beaux soirs d’été, à l’heure où les rues tiédes sont vides, quand les servantes jouent au volant sur le seuil des portes, il ouvrait sa fenètre et s’accoudait. La rivière, qui fait de se quartier de Rouen comme une ignoble petite Venise, coulait en bas, sous lui, jaune, violette oubleue entre ses ponts et ses grilles »), il passo meraviglioso ci prende, ci si alza in piedi, si paga, si esce, manca mezz’ora alla partenza del treno, ma costi quel che costi non si può partire da Rouen senza aver visto la tua Eau-de-Robec.

Prendiamo un’automobile e via. Comme une ignoble petite Venise! Quanto disprezzo per la sua città!

Certo doveva essere una grande noia per Flaubert abitare a Rouen di ritorno dai suoi lunghi viaggi in Europa e in Oriente. Ma no! Non indegno di Venezia, questo quartiere.

Lungo il piccolo corso d’acqua vi sono tante strette case e ognuna vuol avere il suo ponticello che dia sulla strada lungo l’acqua; ne risulta un aspetto curioso, la strada è lunga e stretta. Ma tutta la viva bellezza che ci aveva dominato leggendo, è chiusa soltanto nella pagina. E per non perdere il rapide, ci dirigiamo verso la stazione per la via più breve.

Giovanni Comisso
Gazzetta del Popolo 21 dicembre 1928

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