“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino
Recensioni
Immagino un po’ il rammarico di Rosella Postorino quando ha scoperto che la donna che voleva intervistare non c’era più.
Simile, credo, al rammarico che ho provato già alla prima pagina del suo romanzo, per aver ascoltato solo distrattamente i racconti di mia nonna sul tempo della guerra.
Margot Wölk nel 2013 aveva rivelato alla stampa tedesca il suo segreto, di avere lavorato per il Führer, e la Postorino voleva intervistarla.
Purtroppo il tempo non ha giocato a suo favore ed è stata costretta a lavorare di fantasia, ricostruendo una storia attorno all’esistenza reale di un gruppo di assaggiatrici, donne con la missione di pre-gustare le pietanze servite ad Hitler, che viveva nella fobia di essere avvelenato.
Il ritardo nella ricerca è stato provvidenziale: non potendo intervistare Margot Wölk l’autrice ha dato vita a personaggi inventati e reso un quadro molto suggestivo delle vicende.
Margot Wölk diventa Rosa Sauer e narra come ha lasciato Berlino, come ha perso i genitori, come è stata arruolata per la missione di assaggiatrice, e come l’ha svolta.
Il racconto passa dai pensieri alla realtà, dalle ipotesi al concreto, dal passato al presente e rende il lettore compartecipe delle situazioni.
Filo conduttore: l’ambivalenza; del cibo, nutrimento ma possibile veleno; dell’atto sessuale, fonte di senso di colpa quando avviene al di fuori degli schemi e pulsione vitale al tempo stesso; dei legami in generale, supporto o vincolo a seconda delle circostanze.
La figura di Hitler c’è ma non si vede: nonostante venga descritto da lontano, avvolto da un alone di mistero, che nemmeno le SS arrivano tutte ad incontrarlo, alla fine anche lui è un tubo digerente, e se mangia gli asparagi la sua urina avrà lo stesso odore caratteristico di chi il piatto l’ha mangiato un’ora prima di lui.
Nessuna indulgenza nei suoi confronti: viene descritto come un pazzo, un maniaco ossessivo compulsivo, uno che, al di là delle crudeltà della guerra, manda i suoi soldati a ripopolare il bosco di rane, dopo che erano state uccise assieme alle zanzare, perché senza il loro canto non riesce ad addormentarsi.
Il gruppo di donne, inizialmente estranee l’una all’altra, e per alcuni aspetti in contrasto tra loro, a poco a poco diventa un nucleo di amiche, seppure con affinità distinte.
Sul pulmino che le conduce al lavoro sembra di sedere accanto ora a Ulla, ora a Beate, ad Heike, a Leni, ad Elfriede e ad Augustine; come se la loro cattività costringesse anche noi ad approfondirne la conoscenza.
I capitoli conclusivi del romanzo sono magistrali: su un treno che, come quello di de Gregori, non fa più fermate neanche per pisciare, Rosa arriva a casa, fondendo passato e presente in modo superlativo.
Elena Rigon